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E la parola divenne carne

Catechesi Gim2 Padova. 2 Dicembre 2015

Il prologo di Giovanni dice cosa avviene in chi legge il vangelo con attenzione e apertura di cuore: vede Dio e diventa figlio di Dio! La Parola infatti ci mostra quel Dio che nessuno mai ha visto e, come si è fatta carne in Gesù, si fa carne anche in noi, dandoci il potere di diventare figli di Dio. La Parola, come ha creato l'uomo, così costantemente lo ricrea a sua immagine. Perché l'uomo diventa la parola che ascolta. Giovanni non va spiegato, va guardato, va ascoltato, va contemplato. Il Vangelo di Giovanni è praticamente un dramma il cui protagonista è la parola e poi in questo dramma ci sono i vari personaggi che siamo noi di fronte alla Parola, come reagiamo. E ci accorgiamo con sorpresa che leggendo il Vangelo, in esso si racconta esattamente ciò che sta accadendo in me mentre lo leggo. La Parola che viene scritta, che c’è nel testo è esattamente quella Parola che nasce in me in quel momento; per questo c’è poco da spiegare, c’è tutto da vedere e da sentire. È praticamente il dramma dell’uomo con la sua Parola; e il nostro destino si gioca con la Parola, con la Parola che viviamo o rifiutiamo. Giovanni ha come simbolo l’aquila, l’aquila vola alto e dall’alto vede tutto.Così è tipico di Giovanni: in ogni singola parte si vede tutto il Vangelo sempre. Ogni piccolo dettaglio risuona già della totalità e contemporaneamente come l’aquila ha la capacità di fissare un dettaglio in tutto il vasto panorama e ingrandirlo all’infinito e ci si accorge che in Giovanni anche un dettaglio minimo occupa tutto l’orizzonte. Sono delle sorprese che si fanno un po’ leggendo Giovanni. E un’altra sorpresa di Giovanni è data dal fatto che, mentre gli altri Vangeli raccontano la trasfigurazione al centro della vita di Gesù come l’episodio fondamentale, Giovanni non la racconta, come tante altre cose, non la racconta perché tutta la vita di Gesù è vista con occhio trasfigurato. É ultimo evangelista che ha scritto, si rivolge a persone che già conoscono il Signore e volle dar loro una visione più alta e più profonda della vita di Gesù attraverso non più racconti di fatti ma la contemplazione, di modo che si veda ciò che avviene in noi nell’impatto con la parola.


Il Prologo

 La protagonista del vangelo di Giovanni è la parola. Questo brano è un inno, una poesia alla parola che provabimente c’era già prima di Giovanni. Lui l’ho presso, l’ha modificato e lo messo al inizio del vangelo quasi come un indice di ciò che traterà nel vangelo. É un preludio in cui vengono toccati tutti queli temi che dopo vengono svilupati nel vangelo: il tema della vita, della luce, dell’accoglierlo, della testimonianza, della grazia, della pienezza, della visione, della gloria, del diventare figli di Dio. E’ un prologo che inizia correggendo la sacra scrittura e termina smentendola. In principio, l’evangelista si rifà al primo libro della Bibbia, il libro del Genesi, che inizia con queste parole: “In principio Dio creò il cielo e la terra”. Ebbene l’evangelista non è d’accordo. In principio era il Verbo, cioè prima ancora di creare il cielo e la terra Dio aveva in mente un progetto. “Verbo” significa una parola, una parola creatrice che realizza il progetto di Dio nella creazione. Poi, il prologo, dal punto di vista della storia e della teologia è una miniera, una miniera da cui hanno attinto tutte le eresie, ma anche tutta la teologia sulla Trinità, sull’incarnazione. Quindi questo brano è veramente un condensato così forte che è tanto bello da leggere, ma difficile da spiegare. Questa è una spiegazione sommaria in modo che entriamo nel Vangelo e di mano in mano tutti i singoli temi che oggi vediamo, verranno trattati nella varie catechesi successive. In concreto ci si presenta in questo inno:

  1. Definizione della Parola,
  2. La Parola nel suo rapporto con Dio,
  3. La Parola nel suo rapporto con la creazione,
  4. La Parola nel suo rapporto con l’essere umano e con la storia dell’umanità,
  5. Nella Parola diventata carne vediamo Dio faccia a faccia.

 Il Vangelo sarà la presentazione della Parola diventata carne che incontriamo nel faccia a faccia con Gesù; e l’adesione a Gesù, alla sua persona viene ad essere l’adesione alla Parola che ha fatto il mondo e che è il destino del mondo, cioè viene ad essere la pienezza di vita e di felicità che da sempre l’essere umano desidera.

 

a. Significato della Parola

Prima di spiegare il testo, qualcosa sul significato della Parola: c’era Federico II di Svevia che preferiva stare a Palermo piuttosto che in Germania, Federico imperatore volle fare un esperimento che già molti di voi conoscono. Lui che era esperto di tante cose ed anche di lingue, voleva sapere quale fosse la lingua originaria dell’uomo, la prima lingua che si fosse parlata. Allora molto scientificamente prese sette bambini appena nati li diede a sette nutrici dando loro l’ordine di dar loro da mangiare, accudirli bene, ma di non parlare mai con loro. Quando sarebbero diventati grandi, la lingua col la quale si sarebbero espressi, quella sarebbe stata la lingua originaria dell’uomo. Sapete già la storia di questi bambini: sono morti, non parleranno mai nessuna lingua, son morti poco dopo la nascita, perché? Perché l’essere umano vive della Parola; non di solo latte vive il bambino - diceva uno - ma di ogni Parola che esce dalla bocca della mamma. Cioè la Parola è ciò che dà l’esistenza all’uomo. In questa luce, vediamo adesso il Prologo.

v1-2: Ciò che c’è in principio, è anche ciò che c’è alla fine. Se nella sorgente c’è acqua, nel rubinetto ci sarà acqua; se sarà acqua avvelenata, ci sarà acqua avvelenata nel rubinetto. Ora cosa c’è nel principio? Anzi prima del principio addirittura, perché “era”. Non c’era il caos, non c’era la confusione, non c’era il caso; soltanto dopo ci sarà il caos, il caso e la confusione; nel principio non c’era l’azione o la coazione o la necessità, soltanto dopo non ci sarà più nessuna libertà, nessuna intelligenza, ci sarà solo il fato. In principio era la Parola; cos’è la Parola? Il termine Parola deriva da “parabola”, vuol dire “getta fuori”, qualcosa che getta fuori; ed è tipica dell’essere umano che con la Parola si getta fuori, si propone, si espone, si offre, si dona, in modo che l’altro possa accoglierlo, dialogare, interloquire. L’uomo proprio è Parola ascoltata e corrisposta, questo distingue l’uomo dall’animale, questo è il principio della cultura, della scienza.

b. La Parola nel suo rapporto con Dio

Dio stesso è Parola. Parola, fonte di intelligenza, libertà, comunicazione, comunione, amore. Alla fine uno che parla non dice delle cose, dice se stesso, quindi si comunica; proprio così, è la comunione più alta e più profonda il palarsi, tant’è vero che poi non ci si parla più e allora è una tragedia. Ecco Dio è Parola, è comunicazione, è dono; c’è uno che parla, il Padre, c’è uno che ascolta e risponde, il Figlio e c’è l’amore tra i due (Spirito Santo). È questo il principio di tutto e ciò che sta al principio, sarà anche dopo, perché ciò che deriva dal principio ha le caratteristiche del principio, allora dire che Dio era Parola è una scelta ben precisa, è dire che l’uomo è destinato all’intelligenza, alla libertà, all’amore, alla comunione, al dono, alla comunicazione. Poi posso notare che la Parola può essere menzognera invece che vera, può essere tenebra invece che luce, può essere morte invece che vita. Vediamo di fatti l’uso che facciamo della Parola nella nostra società, in qualunque società. La società dipende dall’uso che fa della Parola. Che uso ne fai? Per dominare o per comunicare, per liberare o per schiavizzare, per illuminare o per imbrogliare? Il Vangelo ci narra questo dramma della Parola di verità dell’uomo. Ecco: “In principio era”. Già prima del principio; Giovanni fa proprio un volo d’aquila va oltre il principio, fin dall’inizio. Cos’è al principio di ogni divenire? La Parola, e questa Parola è rivolta a Dio, c’è un dialogo interno a Dio e la Parola stessa è Dio.

c. La Parola nel suo rapporto con la creazione

V3-4: Dopo aver parlato della Parola presso Dio, in se stessa, ora si parla della Parola nei confronti della creazione. Un racconto ebraico dice che il mondo è stato creato con le lettere dell’alfabeto e che è un modo molto intelligente; questo per dire che il mondo è tutto intelligibile, perché con l’alfabeto si fanno le parole, il che vuol dire che ogni cosa è comprensibile attraverso le parole; infatti la mentalità ebraica è una mentalità prettamente scientifica, mentre lo è molto meno quella greco-romana. Quindi se puoi capire vuol dire che puoi intervenire, e qui sta il principio della cultura e della storia. E la natura stessa è il luogo della cultura e della storia, perché? Perché è fatta con la Parola, quindi tutto viene attraverso la Parola e l’uomo è colui che dà la Parola alle cose, Dio fin dal primo giorno disse: “Sia la luce” e la luce fu; e al sesto giorno fa l’uomo e l’uomo è depositario della Parola, di fatti questa Parola che è la vita di tutto e dà la vita a tutto, nell’uomo diventa luce, perché l’uomo la capisce. Cioè l’uomo è colui che sa leggere il reale, è l’interprete, è quello che scopre il senso, che sa leggere, che sa dare la Parola al creato. Il creato è una parola oggettiva, incosciente; nell’uomo prende coscienza, per cui l’uomo divinizza tutta la creazione attraverso la Parola. Potremmo così dire che la vita diffusa da Dio nel creato, si accende di consapevolezza, diventa lucida consapevolezza nell’uomo. In fatti l’evangelista scrive che “In lei era la vita e la vita era la luce degli uomini”. Non c’è una luce esterna che deve guidare gli uomini - la luce, nella spiritualità ebraica, era la legge - ma è la vita la luce degli uomini. E’ la risposta al desiderio di pienezza di vita quello che guida e illumina la via degli esseri umani.

d. La Parola nel suo rapporto con l’essere umano e con la storia dell’umanità

v5: Ci fermiamo su questo versetto che è un po’ una sorpresa. Della Parola si è detto: che era dal principio, che ha fatto tutte le cose, che è la vita di tutto, che illumina tutto, che è la luce dell’uomo, che viene nelle tenebre e ora si dice che le tenebre non l’afferrano. Vuol dire che c’è una resistenza alla Parola, alla luce, alla verità. È ciò che sperimentiamo tutti: c’è un mutismo, c’è un’oscurità, c’è una menzogna, c’è una paura in noi che non afferra la Parola. Il termine “afferrare” - nel Vangelo di Giovanni ci sono di continuo doppi sensi e vedremo perché - può riferirsi all’afferrare con la mente, cioè comprendere, ma vuol dire anche imprigionare, tenere in mano, stritolare. Le tenebre non comprendono la luce, ma neanche riescono a soffocarla. Nessuna tenebra può mangiare la luce. Se mangia la luce e la divora, rimane illuminata. Giovanni userà spesso dei termini che hanno un doppio senso: uno è il senso normale del prendere, poi ci sarà l’altro senso di accogliere; ad esempio, ci parlerà di un “nascere dall’alto”, che vuol dire “rinascere”, oppure “nascere dal cielo”, cioè da Dio. La nostra vita è tutta a doppi sensi. In che senso? Che nessuna Parola esiste nella realtà, siamo noi a dare la Parola e tutto dipende da come noi la leggiamo. Cioè ogni realtà oltre, a ciò che appare, indica qualcos’altro. L’esempio solito: se c’è un mazzo di fiori e una donna lo trova in casa per questa donna quel mazzo di fiori non è semplicemente un mazzo di fiori; c’è un altro senso che lei capisce bene; è ciò che desidera, segno di amore. La vita è sempre giocata sui doppi sensi, prima è la cosa materiale che per sé non ha alcun senso, è quella che è. Poi c’è il senso umano di relazione, questo è il secondo senso che è segno di un amore, di una relazione. Giovanni gioca continuamente sui doppi sensi che sono negativi e positivi al contempo; per esempio “afferrare” vuol dire, positivamente, “comprendere” e, negativamente, “distruggere”. Questo è il nostro rapporto con la parola di verità, o la comprendiamo o cerchiamo di soffocarla. L’evangelista assicura che la luce, man mano che allarga il suo splendore, vince le tenebre. La luce non deve combattere le tenebre, non c’è nulla di bellicoso in questo progetto di Dio sull’umanità. La luce deve soltanto splendere. Nella misura in cui splende, le tenebre restringeranno il loro influsso.

Inserzione su Giovanni Battista:

v6-8: Si interrompe l’inno sulla parola per parlare di Giovanni, perché? Giovanni è il testimone, e la Parola vive nei testimoni. Testimone è chi ricorda la Parola, se il testimone non ricorda non è più testimone, ricorda e dice la parola agli altri. La testimonianza è la categoria fondamentale del Vangelo; è ricordo, soprattutto in Giovanni; ma è anche categoria fondamentale delle relazioni umane, se uno non ricorda e non dice la parola non c’è cultura, non c’è comunicazione, non c’è nulla. Lasciamo ora da parte questo tema della testimonianza che è citata più volte nel prologo, perché il brano successivo è tutto sulla testimonianza. Perché la testimonianza è proprio la parola che passa dall’uno all’altro e ognuno in quella parola si ritrova, la accoglie, si arricchisce di quella parola, l’arricchisce con la sua esperienza, la trasmetteall’altro, quindi la parola è il luogo dove è testimoniata tutta l’esperienza umana. Però è importante una cosa: la testimonianza deve essere della luce, ma non è la luce e se uno è illuminato - ci sono tante persone illuminate al mondo, dicono - e si crede una luce, è certamente una tenebra. Chi crede di essere luce è tenebra, l’illuminazione è un’altra cosa: è ricordare la verità, che non ho inventato io - perché inventare la verità si chiama dire bugie - che cerco di vivere e di trasmettere come posso. Ed è questa la via della verità che è sempre una ricerca costante di verifica e di comunione e di comunicazione, e non è, invece, la pretesa di dire verità eterne cui gli altri devono aderire perché sono illuminato; questo vuol dire che sto imbrogliando. La testimonianza è qualcosa di duro, tant’è vero che in greco testimonianza si dice martirio, cioè si mette in gioco la vita sulla testimonianza, la vita del condannato se condanni qualcuno o la tua vita se dici la verità.

v9-13: Ecco, questa Parola che si dice essere luce in ogni uomo – perché ogni uomo prescindendo dalla cultura, dalla religione, dalle fedi, cerca la verità e non può mentire a se stesso - dice però stranamente che non è riconosciuta: è il mistero del male che tutti sperimentiamo. Come mai c’è la verità ed io non l’accolgo? Cosa c’è sotto? O la lascio perdere, perché? Tutto il Vangelo è proprio questo dramma del rapporto della Parola, con la verità che non accolgo, che conosco e non riconosco. Questi sono i versetti centrali del prologo, quindi più importanti di tutto questo brano: “Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto”. Com’è stato possibile? E’ stato possibile perché proprio la casta sacerdotale al potere, in nome del Dio del passato, ha rifiutato il Dio che si manifesta nel presente in Gesù. Il Dio del passato l’avevano potuto manipolare presentandolo come un Dio di potere, per poter essi stessi esercitare il potere. Il Dio che si presenta, che è un Dio-amore che si mette a servizio, scombinava tutti i loro piani, i loro progetti. Per questo lo hanno rifiutato. Però, l’evangelista assicura, ed è questo il versetto principale di tutto il prologo, “A quanti lo hanno accolto”, quindi c’è chi ha accolto questo progetto di Dio, questa parola, “ha dato il potere di diventare figli di Dio”. “Figli di Dio” non si nasce, ma si diventa, accogliendo questo progetto di vita, facendolo proprio. Questo progetto, lo vedremo, si realizza nella figura di Gesù e possiamo accoglierlo come modello del proprio comportamento. Perciò, a colui che, invece, accoglie la Parola è dato il potere di diventare figlio di Dio, perché l’uomo diventa la parola che ascolta. La Parola informa l’uomo, gli dà la sua forma, gli dà il modo di pensare, gli dà il modo di agire, gli dà il modo di essere. Quindi, la Parola di verità, la Parola di luce, la Parola di Dio mi fa diventare progressivamente più luminoso, più vero, mi fa diventare come Dio, perché la Parola ci trasforma. Cioè il principio di divinizzazione dell’uomo è la parola. E l’uomo, appunto, mediante la parola che ascolta diventa come Lui; uno è la parola che ascolta, perché pensa e agisce secondo quella, diventa la parola.

e) Nella Parola diventata carne vediamo Dio faccia a faccia

v14: Ecco questo è il centro dell’inno. Questa Parola era presso Dio, questa Parola che ha creato il mondo, questa Parola che è in ogni uomo, questa Parola che è testimoniata da tutti i saggi di tutti i tempi, questa Parola che è testimoniata dai profeti, questa Parola che è testimoniata da Giovanni, questa Parola diviene carne; la Parola diviene carne, cioè cambia l’economia della Parola. L’evangelista non scrive, come ci saremmo aspettati, “si fece uomo”, ma “si fece carne!” Una Parola che diviene carne. Come fa a diventare carne una Parola? L’uomo vive della Parola, Gesù è il primo che vive della Parola del Padre e ha vissuto nella sua carne l’essere Figlio, per questo ci manifesta la nostra verità di figli/e e di fratelli / sorelle. È venuto a dirci questo, nulla di più, nel suo farsi carne. E così noi incominciamo a vivere la nostra carne, la nostra realtà fisica, nel suo limite, nella sua materialità, anche nella sua fragilità, a viverla in un modo divino. Come in modo divino? Sì, la carne è il luogo stesso della mia comunione con gli altri. La carne che è il principio della mia vita, se no non nascevo, del mio crescere ma anche del mio morire, sarà il luogo nel quale vivo la mia condizione di Figlio/a, la mia comunione col Padre che mi ha creato, la mia comunione col Padre verso il quale torno e la mia comunione coi fratelli; questa è già vita eterna mentre vivo. Quindi il farsi carne della Parola – il Vangelo poi ci farà vedere questa carne del Figlio - non è altro che il rivelare a noi la via per diventare Dio, perché l’amore rende uguali: Dio si è fatto carne e noi nella carne diventiamo Dio mediante l’ascolto di quella carne che viene descritta nel Vangelo. Il cardine del cristianesimo è la carne; non è qualcosa di disincarnato, non è il buttar via l’umanità o i desideri dell’uomo, è la carne coi suoi bisogni, i suoi limiti, i suoi desideri. È questo l’ambito dove viviamo la rivelazione stessa di Dio. Una sorpresa! A noi fa paura - almeno a qualcuno - un Dio debole, limitato, che è fragile, che nasce a Betlemme, che è carne, che muore: che Dio sarà? Ecco, per Giovanni la carne è il luogo stesso della rivelazione di Dio. Chi sarà questo Dio che è carne come noi? “E venne ad abitare” … non “in mezzo a noi”, ma in noi. L’evangelista sta indicando qualcosa di straordinario. Con la nascita Dio non è più da cercare, ma da accogliere. E’ un Dio che non solo è vicino, ma un Dio che chiede a ogni uomo di diventare l’unico vero santuario dal quale irradiare il suo amore, la sua santità e la sua compassione. Quindi questo Verbo si è fatto carne, nella debolezza dell’esistenza umana, il che significa che non esiste dono di Dio che non passi attraverso la carne, attraverso l’umanità. Il Dio di Gesù chiede di essere accolto per fondersi con l’uomo, dilatarne le capacità d’amore, e renderlo l’unico vero santuario dal quale si irradia il suo amore. Questo è il progetto di Dio sull’umanità: ogni uomo diventa l’unico vero santuario. Gesù un po’ più avanti in questo vangelo dirà che se uno lo ama osserverà la sua parola, il padre e lui verranno nell’individuo e prenderanno dimora presso di lui. Quindi questa è la grande novità. E’ finita l’epoca dei templi dove l’uomo deve andare, ma inizia l’epoca dell’unico vero santuario che è Gesù e quanti lo accolgono, che non attende che le persone vadano verso di lui, ma è il santuario che si orienta verso le persone, specialmente verso gli ultimi, verso le persone che sono state emarginate e rifiutate.

v15-18: Si ritorna a parlare di Giovanni che è il testimone del Cristo, della Verità. Giovanni Battista è l’icona dell’uomo autentico, che conosce i propri limiti ed è aperto alla novità: è conscio di essere carne, ma vive di quel desiderio di Dio impresso in lui dalla Parola creatrice e dalla promessa fatta ad Israele. Per questo è uno che cerca e incontra, riconosce e accoglie Gesù come il Figlio di Dio, testimoniandolo agli altri: è il prototipo del discepolo. “Dalla sua pienezza”, questa pienezza d’amore, “noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia”. Questa espressione indica che l’amore alimenta l’amore. C’è un amore ricevuto che va accolto e trasformato in amore comunicato. L’amore che la persona riceve da Dio, che accoglie e che poi trasforma in amore comunicato all’altro permette a Dio una nuova, più abbondante, risposta d’amore. E questo in un crescendo senza fine. Ed ecco i versetti conclusivi sono importanti. “Perché la legge fu data per mezzo di Mosè”, parla di legge come di qualcosa del passato, “la grazia e la verità”, cioè l’amore generoso di Dio, l’amore fedele, vennero per mezzo di Gesù Cristo. L’evangelista qui anticipa quella che sarà la nuova alleanza di Gesù. Mentre Mosè, il servo di Dio, ha imposto un’alleanza tra dei servi e il loro Signore, basata sull’obbedienza alla legge, Gesù, che è il Figlio di Dio, propone un’alleanza tra dei figli e il loro Padre, basata sull’accoglienza e somiglianza al suo amore. Quest’amore fedele, questa verità, non nasce dal bisogno dell’uomo, ma lo precede. Infine – abbiamo detto che inizia correggendo la scrittura e smentendola – Dio nessuno lo ha mai visto. L’evangelista smentisce quello che è scritto nel libro dell’Esodo, dove si legge che Mosè ed altri hanno visto Dio. No, hanno fatto solo esperienze molto limitate. Pertanto, la volontà di Dio che Mosè ha espresso, è una volontà limitata alla sua esperienza. Giovanni dice con molta semplicità che Dio nessuno l’ha mai visto. Di fatti nella Bibbia c’è la proibizione di farsi immagini di Dio e il tentativo primo dell’uomo è farsi un Dio a sua immagine e somiglianza. Noi ci facciamo sempre un Dio come vogliamo noi, come proiezione dei nostri desideri; per questo la Bibbia dice: non farti alcun immagine di Dio, perché nessuno l’ha mai visto e nessuno lo vedrà, perché Dio è Parola e la Parola non la vedi, la Parola va capita e va vissuta. Poi la Parola ti narra; come fa la parola a narrarti Dio? Ti narra Dio con la vita, cioè tu vivi da figlio di Dio. Allora il Figlio nella sua carne mi racconta chi è il Padre e tutto il Vangelo sarà proprio il racconto di chi è Dio Padre - Padre suo e Padre nostro - proprio attraverso il suo vivere nella carne la fraternità con noi. Quindi la vita di Gesù tutta donata ai fratelli e sorelle sarà il luogo dove è raccontato il Padre e in greco per “raccontare” c’è “esegesi”, che vuol dire “tirar fuori”. Proprio la vita di Gesù tira fuori, espone, spiega, che cosa? La verità più profonda dell’uomo, l’uomo figlio/a e fratello / sorella. E così si vede, nel Figlio/a e nei fratelli e sorelle, quel Padre che nessuno ha mai visto. Così quel Dio che tutti noi cerchiamo in qualche modo di immaginare, facendone l’attaccapanni delle nostre opinioni e dei nostri deliri, ci rivela nella carne, nell’umanità, il modo particolare di vivere la carne e l’umanità, nel vivere da figli/e e da fratelli /sorelle. Il seguito del Vangelo poi, porterà avanti questo; comunque ricordate: ? che al Principio è la Parola, ? la Parola è comunicazione e comunione, scambio, è amore. ? questa Parola si fa carne, si fa storia, si fa corpo; ? la Parola va vissuta nella quotidianità ? ed è in questa Parola vissuta che si gioca il destino dell’umanità e il destino stesso di Dio.

Conclusione:

Dio nessuno l’ha mai visto, il figlio unigenito, che è Dio .. ecco il progetto che si è realizzato, ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato. Quindi l’evangelista invita a centrare tutta l’attenzione su Gesù. Gesù non è come Dio, ma Dio è come Gesù. Tutto quello che noi crediamo di sapere su Dio adesso dobbiamo verificarlo ed esaminarlo in Gesù, quel Gesù che poi dirà a Filippo: “Chi ha visto me ha visto il Padre”. Ecco, questo è l’annunzio del Natale: non un uomo che deve salire verso Dio per divinizzarsi, ma accogliere un Dio che è sceso verso gli uomini umanizzandosi. Tanto più gli uomini saranno umani, tanto più si manifesterà il divino che è in loro.

Domande per la riflessione:

  1. Come posso leggere la parola di Dio nella creazione?
  2. Cosa significa per me la parola? Che uso ne faccio di essa? Per dominare o per comunicare, per liberare o per schiavizzare, per illuminare o per imbrogliare?
  3. Quando accolgo la Parola di Dio nella mia vita?
  4. Quando rifiuto la Parola di Dio nella mia vita?
  5. Come esperimento Gesù nella mia vita?
  6. Cosa significa per me: la Parola si e fatta carne e venne ad abitare tra noi?
  7. Quale immagine di Dio ho? Mi faccio una immagine di Dio alla mia missura, d’accordo ai miei desideri?
  8. Come è l’immagine di Dio che ci presenta Gesù?

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