I “valori morali”
Secondo una
agenzia di stampa utilizzata da tutti i principali quotidiani del
mondo, la vittoria del presidente Bush si spiega – fra le altre
cose – tenendo presente che almeno il 30% dell’elettorato
nordamericano
“ritiene i valori morali piú importanti di temi
come l’economia e la guerra in Iraq”.
L’elettorato, dunque, si
dividerebbe in due categorie: quelli che sono interessati nei
‘valori morali’, e quelli che si preoccupano dell’economia e della
politica internazionale. In quest’ottica, sembrerebbe che
l’economia e la politica non abbiano niente a che vedere con la
morale.
E cosí, il
fatto che il presidente Bush fosse impegnato in una guerra chimica
in Colombia, facendo fumigare vaste regioni di quel paese allo
scopo di far scappare la gente e sfruttare a piacimento le materie
prime di cui sono ricche quelle zone, è una ‘meschina’ questione
economica in cui gli elettori che hanno cuore i ‘valori morali’
non sono minimamente interessati. Come scrive Noam Chomsky, questa
“fumigazione chimica avvelena la terra, muoiono bambini e la
gente che é costretta a fuggire soffre di varie malattie.
L’agricoltura contadina tradizionale di queste zone sará distrutta
in una generazione, e con essa si distruggerá una delle piú ricche
biodiversitá del pianeta. E intanto altri contadini, indios e
afrocolombiani andranno ad ingrossare le fila del quasi tre
milioni di ‘desplazados’ “. E quando questa gente finalmente
se ne sará andata, “le multinazionali potranno smontare le
montagne in cerca di carbone, potranno estrarre petrolio e altre
materie prime, e poi, forse, trasformeranno ció che rimarrá di
quelle terre in una zona in cui allevare bestiame per i ricchi o
per l’esportazione, in un ambiente spogliato della sua varietá e
dei suoi tesori”. Tutto questo, come si riconosce apertamente
nei circoli accademici statunitensi, è visto come “un’ulteriore
tappa nel processo storico di espellere i contadini dalle loro
terre per garantire il profitto delle compagnie straniere e della
elite colombiana”.
E cosí,
ritorniamo alla questione di fondo:
 |
che cosa
intendiamo per “valori morali”?
|
È chiaro che,
a giudicare da come si usa questa espressione, i ‘valori morali’
si riferiscono solo alla sfera della vita privata e familiare, in
particolare al tema dell’aborto e alla difesa della vita. Ma come
ci si puó ergere a paladini della famiglia, se poi si promuove una
guerra chimica che sta uccidendo e avvelenando intere famiglie?
Come si puó parlare di difesa della vita, se poi si approva una
guerra di aggressione che, secondo i dati di un autorevole
Istituto inglese, ha giá provocato 100.000 morti civili iracheni -
soprattutto donne e bambini – e piú di mille morti statunitensi?
Che senso ha dire ‘Io sono per la vita, sono contro l’aborto,
voglio che i bambini possano nascere’, e poi accettare che si
uccidano migliaia di bambini innocenti? Davvero crediamo che Dio
possa accettare questa moralità ipocrita e criminale? Se siamo in
difesa della vita, dobbiamo esserlo sempre, e soprattutto essere
convinti che la vita dei nostri bambini vale tanto come quella dei
bambini iracheni e colombiani.
È il solito
nefasto dualismo che abbiamo ereditato da un certo tipo di
tradizione teologica, secondo la quale i valori morali valgono
solo a livello di vita sessuale e familiare. Chiaro che valgono
anche a questo livello, ma non solo a questo livello! E sí che il
Concilio giá lo ha detto chiaramente piú di quarant’anni fa - e il
Papa continua ripeterlo - che
l’Evangelo
si applica a tutte le sfere della vita umana! Ma nella mentalitá comune questo concetto
non è ancora entrato. E allora,
fino a quando non riusciremo a far
entrare i ‘valori morali’ nella politica e nell’economia,
continueremo ad assistere a questo scandalo: politici ‘cristiani’
che provocano morte e massacri di innocenti, e che continuano a
presentarsi sfacciatamente come difensori dei ‘valori morali’.
Il presidente
Bush, a un giornalista che gli faceva notare il caos in cui ha
fatto cadere l’Iraq, ha risposto: “Ma pensate quanto ha
avanzato quella società dai tempi della camera di tortura usata da
Saddam!”. Che progresso, mister Bush, complimenti! Prima
Saddam faceva uccidere centinaia di persone in camere ‘private’ di
tortura: adesso, invece, lei fa uccidere migliaia e migliaia di
donne, uomini e bambini senza bisogno di queste camere, perché
con i suoi aerei assassini lei ha trasformato il cielo aperto in
una enorme camera di tortura: complimenti, un vero progresso!
Il Diritto appartiene alla
preistoria
Molti
politologi e storici statunitensi affermano ormai apertamente che
la guerra in Iraq apre una nuova era della politica
internazionale. “Il resto del mondo ha inteso molto bene il
carattere esemplare dell’operazione in Iraq”, scrive ad
esempio lo storico Roger Owen, professore dell’Universitá di
Harvard. Finora si pensava che prima di fare una guerra si doveva
pensarci bene dieci volte: la guerra doveva avere una causa giusta
e ben documentata, e legittimata – in qualche modo - dagli
Organismi internazionali. Ma d’ora in poi i governi dovranno
cambiare la maniera di considerare la politica mondiale, e passare
“da un’ottica basata sulle Nazioni Unite e sul Diritto
Internazionale a un’altra basata sull’identificazione con l’agenda
politica di Washington”, come dice il prof. Owen. In altre
parole,
è finito il tempo del
Diritto, il Diritto Internazionale giá appartiene alla preistoria; adesso è il tempo dell’Impero
e
della ‘guerra preventiva’. D’ora in poi per fare una guerra,
basterá che lo voglia il governo di Washington: non sará più
necessaria nessun’altra legittimazione.
Ed è proprio a
questo, penso, che si riferiva Tony Blair, quando – in una recente
riunione dell’Unione Europea, ha affermato: “É ovvio, a
giudicare dai commenti che si sono fatti in Europa in questi
ultimi mesi, che c’è molta gente che non ha ancora voluto rendersi
conto dei cambiamenti che sono avvenuti. Non voglio additare
nessuno in particolare. Ma sto cercando di dire che dobbiamo
andare avanti. C’é una nuova realtà, e dunque dobbiamo accettare
di lavorare con questa realtà”. Blair – senza fare nomi – si
riferiva a quei governi europei che si intestardiscono a difendere
il Diritto Internazionale. È come se il primo ministro inglese ci
stesse dicendo: “La realtà è cambiata. Voi credete ancora nella
Convenzione di Ginevra e in altri patetici documenti del Diritto
Internazionale? Svegliatevi! Non è piú tempo di credere in queste
favole. Questo è il tempo della ‘guerra preventiva’ : la volontà e
il capriccio dell’Impero sará la nuova legge che tutti dovranno
rispettare“.
Usare il tempo creativamente
Di fatto,
leggendo alcune riviste italiane, anche alcune riviste cattoliche,
si percepisce l’idea che si dá quasi per scontato che non si puó
fare nulla contro questo stato di cose: questo è il tempo
dell’Impero nordamericano, che sono i piú forti; non si puó andare
contro la realtà, non si puó andare contro il tempo.
Ma a questo
proposito, penso che è utile andarci a rileggere le parole che
scrisse
Martin Luther King dalla prigione di Birmingham. Il grande
leader afrostatunitense aveva ricevuto una lettera da parte di un
bianco ‘moderato’ del Texas, che affermava: “Tutti i cristiani
sanno che alla fine i neri conquisteranno l’uguaglianza di
diritti, peró sembra che lei si sia fatto prendere da una fretta e
da un entusiasmo religioso troppo grande. Si ricordi che gli
insegnamenti di Cristo hanno bisogno di tempo per arrivare sulla
terra”.
A queste
obiezioni, Martin Luther King rispondeva: “Quest’atteggiamento
è la conseguenza di una nozione irrazionale, di un concetto
tragicamente erroneo del tempo, secondo il quale c’è qualcosa nel
flusso stesso del tempo che inevitabilmente curerà tutti i mali.
In realtà il tempo
è neutrale: può essere usato costruttivamente o
distruttivamente. Mi rendo sempre più conto che i figli delle
tenebre hanno utilizzato il tempo con più astuzia di quanto
abbiano fatto le persone di buona volontà Per questo noi dovremo
pentirci non solo delle parole odiose e delle azioni criminali dei
‘cattivi’, ma anche dello spaventoso silenzio dei ‘buoni’.
Il progresso umano non cammina
sulle ruote dell’inevitabilità, ma arriva solo grazie agli sforzi
instancabili degli uomini disposti ad essere collaboratori di Dio;
senza questo sforzo, il tempo si trasforma in un alleato delle
forze dell’immobilismo sociale. Dobbiamo usare il tempo
creativamente, sapendo che non è mai troppo presto per fare il
bene: adesso è il tempo di realizzare la promessa della
democrazia”.
Quanto
risuonano attuali queste parole! Anche oggi vediamo che i “figli
delle tenebre” – a qualsiasi credo e a qualsiasi religione
appartengano - non perdono un minuto per mettere in atto i loro
piani criminali, e stanno usando il tempo distruttivamente.
E noi?
Noi
tergiversiamo, aspettiamo, abbiamo paura di denunciare apertamente
certe cose, perchè ci sembra che non è ancora venuto il tempo per
farlo. Ma anche noi siamo chiamati ad usare il tempo creativamente. Ci dicono che questo non è più il tempo del
Diritto? E che al terrorismo bisogna rispondere con un terrorismo
dieci volte maggiore? E vogliono presentarci come inevitabile la
strategia imperiale della ‘guerra preventiva’? E convincerci che
il futuro dell’umanità è un futuro da incubo? Beh, questo dipende
anche da noi. Come hanno sottolineato molti politologi, ormai
sulla scena mondiale esiste solo
una superpotenza in grado di controbilanciare lo strapotere
dell’Impero statunitense: l’Opinione
pubblica mondiale.
Di fatto, le
prime comunità cristiane si opposero all’Impero romano in un modo
nonviolento e creativo, semplicemente facendo circolare nuove
idee, ed imponendosi – poco a poco - come opinione pubblica
dominante. Come opinione pubblica dominante, il cristianesimo
riuscì a debellare antichissimi mali, come l’infanticidio e la
lotta dei gladiatori.
Anche noi dobbiamo
usare creativamente il tempo per fare
della pace l’Opinione e il Pensiero dominante: è una
responsabilità che cade su ciascuno di noi.
Termometro o termostato?
Anche oggi,
dunque, la comunità cristiana è chiamata a far sentire la forza
delle sue idee, la forza dell’Evangelo, senza complessi di
inferiorità né davanti al Moloch imperiale nè davanti al
terrorismo islamico o di qualsiasi altro colore. Come diceva Martin Luther King, la
Chiesa deve decidersi se vuole essere un
semplice termometro – che misura la temperatura e i
principi dell’opinione dominante, accettandoli passivamente – o se
vuole essere un termostato – che propone una sua propria
temperatura e i suoi propri principi, trasformando la società e
impedendole di scendere a livelli di barbarie inaccettabili.
Sogni e incubi
In questo
contesto, compito imprescindibile dell’Evangelizzazione è aiutare
la seconda superpotenza – l’Opinione pubblica – a prendere
coscienza della sua forza e delle sue responsabilità.
É evidente,
infatti, che l’Impero ‘democratico’ può fare guerra a paesi poveri
e indifesi, e massacrare donne e bambini, solo con l’appoggio
della propria opinione pubblica. E l’opinione pubblica può essere
persuasa ad appoggiare un massacro di innocenti solo se si sente
in preda al terrore e al panico. Quando ci sentiamo minacciati,
approviamo qualsiasi tipo di violenza, per quanto crudele ci possa
sembrare. Per questo
l’Impero poggia il suo potere sul panico, perchè
sa che la gente può approvare una politica criminale solo se si
sente in balia di un incubo.
E di fatto, la
politica imperiale vuole suscitare e alimentare incubi. In uno
spot pubblicitario usato da George Bush nella recente campagna
elettorale, si vedevano un gruppo di lupi feroci - in agguato -
pronti ad attaccare. Il sentimento che si voleva suscitare nella
gente è un sentimento di paura e terrore verso i nemici degli
Stati Uniti. Questa politica di creare panico e suscitare incubi
sembra aver avuto successo, ma in realtà non è ancora detta
l’ultima parola.
Io sono
convinto che gli incubi non prevarranno, sono convinto che
possiamo vincere questi incubi. Come? Usando lo stesso metodo di
Gesù: suscitando sogni.
L’Impero si
alimenta di incubi, e l’incubo si combatte con il
sogno.
A partire da
questo momento, non parlerò più di incubi, e mi concentrerò sui
sogni di Gesù. Quando lottiamo contro le forze di morte, infatti,
un grande pericolo è quello di lasciarci imprigionare da quegli
stessi incubi che diciamo di voler combattere, ossia, di
concentrare tutte le nostre energie e i nostri sforzi nello studio
delle forze del male. Preferisco invece studiare e contemplare i
sogni che Dio è venuto ad annunciarci.
Dio in pannolini
Prima di
tutto, è bene ricordare che
quello che stiamo vivendo adesso non è
una novità. Anche Gesù nacque in una epoca di incubi: negli anni
in cui il Nazzareno era bambino, l’Impero romano fece massacrare e
crocifiggere migliaia di ebrei, e rase al suolo – fra le altre –
la città di Sefforis, a pochi chilometri da Nazareth, passando a
fil di spada tutti gli uomini e catturando come schiave le donne.
Davanti allo
strapotere imperiale, molti ebrei speravano in un messia
guerriero, che doveva apparire sulla scena politica internazionale
accompagnato da un esercito potente in grado di combattere Roma. E
invece
Dio – sorprendendo tutti – si presentò nelle vesti di un
bambino indifeso: “Oggi vi è nato nella cittá di Davide un
salvatore, che è il Cristo Signore. Questo sará per voi il segno:
troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in
una mangiatoia” (Lc 2,11-12). Come commenta Francisco
Reyes, generalmente noi ci soffermiamo solo su due dei segni
indicati dagli angeli: il bambino e la mangiatoia. Peró è
importante notare anche il terzo segno: Cristo è avvolto in
fasce, cioè in quei panni che aiutavano la mamma a pulire il
bambino quando si ‘sporcava’. Cristo, dunque, diremmo oggi, è
avvolto in pannolini:
Dio ha voluto
assumere la condizione umana in tutta la sua
fragilità.
La vulnerabilità di questo Dio in pannolini sfida la logica delle
forze che dominano questo mondo con prepotenza e violenza. Per
sentirsi sicuro e per stabilire il suo dominio nel mondo, l’Impero
ha bisogno di carri armati, cacciabombardieri e missili
supersonici. Dio, invece, per annunciare il suo Regno, ha bisogno
soltanto di una mangiatoia e di due pannolini.
Trasformare il tempo
Gesú è il piú
grande sognatore
di tutti i tempi. Nessuno, nella storia dell’umanitá,
ha saputo suscitare tanti sogni - e tanto audaci - come ha fatto
Lui. Il Vangelo della Natività ci dice che il bambino Gesú ha
potuto continuare a vivere, sotto la persecuzione di Erode, grazie
a un sogno che Dio ha inspirato a san Giuseppe, incitandolo a
rifugiarsi in Egitto. Anche oggi, Gesú continua a vivere nelle
nostre comunitá grazie ai sogni che suscita in mezzo a noi.
“Dio dá
vita ai morti e chiama all’esistenza le cose che ancora non
esistono”
(Rm 4,17). In questo versetto si racchiude la fede e la speranza
del cristiano. È vero che quello che sognamo non si è ancora
realizzato, ma
avere fede significa credere che Dio puó dare vita
a ció che ancora non esiste. Se non crediamo in questo ‘sogno’,
non siamo uomini di fede.
“Speró
contro ogni speranza…Questo gli fu accreditato come giustizia”
(Rm 4,18-22). Per un cristiano, dunque, credere in questo ‘sogno’
non è facoltativo ma ‘obbligatorio’:
essere giusto agli occhi di
Dio implica saper sperare e sognare contro ogni speranza, credere
nei sogni di Gesú. Solo un sognatore puó essere uomo di fede. E se
la fede puó muovere montagne, il sogno puó trasformare il tempo.
E così, a quel
bianco ‘moderato’ che gli diceva di aspettare a lottare per i
diritti dei neri, perchè si stava ancora vivendo il tempo della
razzismo, Martin Luther King rispondeva: ‘Questo è il tempo della
segregazione? Beh, io ho un sogno. E con il mio sogno posso
trasformare il tempo del razzismo nel tempo della libertà e della
democrazia’. A
Comboni
dicevano che non era ancora arrivato il
tempo dell’Africa, che la Chiesa – per molti anni – avrebbe
continuato a concentrare la sua attenzione su altri continenti. Ma
Comboni rispondeva:
‘Voi siete molto prudenti, e la vostra
eccessiva prudenza vi fa perdere la confidenza in Dio. Io ho
fiducia in Dio, e Dio mi ha ispirato una visione, un sogno:
Salvare l’Africa con l’Africa. Voi mi dite che questo è ancora il
tempo del colonialismo europeo, il tempo della schiavitù. Ma io
sogno di trasformare questo tempo nel tempo dell’Africa, nel tempo
della liberazione’.
E si
potrebbero citare tanti altri santi che hanno imitato l’esempio di
Gesú, che disse:
‘Voi mi dite che questo è il tempo dell’Impero
romano, che impone il suo calendario a tutto il mondo, iniziando a
contare gli anni dalla fondazione di Roma (754 A.C.). Voi mi dite
che questo è il tempo dell’oppressione e della schiavitù, imposta
con la violenza e con il sangue. Ma io vi dico che ho un sogno, e
voglio che questo sia il tempo della fraternità e della pace.
Questo che fino a ieri sembrava il tempo dell’Impero del carro
armato e delle bombe a grappoli, sará adesso il tempo del Dio che
si presenta in pannolini e monta un asinello. Questo che fino a
ieri sembrava un tempo ‘maledetto’ si trasformerá adesso in un
tempo benedetto, provvidenziale, in un ‘kairós’, un tempo dove
cominceremo a praticare la giustizia, l’uguaglianza, la
solidarietà e la pace”.
Gli
indios
quechua dell’Ecuador chiamano questo tempo in cui prevale il
neoliberismo
“Yakipachi”, cioè “Il tempo della tristezza e
della corruzione”, il tempo in cui il mondo è rovesciato rispetto
a quello che era il progetto originario di Dio. Ma grazie alla
loro fede, gli indios ecuatoriani sognano di trasformare il
Yakipachi in
Pachakutik, cioè nel ‘Tempo in cui si
restaura il progetto di Dio’.
Natale
è questo:
riconoscere che Dio ha il potere di creare ció che ancora
non esiste,
ha il potere di trasformare il Yakipachi in
Pachakutik, un tempo di morte in un tempo di vita.
La ‘pazienza ardente’
“Vigilate,
perché non sapete quando il padrone di casa ritornerá…Non sia che
giunga all’improvviso e vi trovi addormentati. Quello che dico a
voi lo dico a tutti: Vegliate!”
(Mc 13,35-36).
Ciò che
caratterizzava la comunità cristiana era l’attesa del ritorno del
‘padrone di casa’, l’attesa del Messia. E per aspettare il Messia,
ci dice Gesù, dobbiamo
vegliare nella
notte; concretamente, questo significa
che dobbiamo lottare contro la tentazione di addormentarci e di
appiattirci sui ‘valori’ e sui timori su cui l’Impero poggia il
suo potere.
Ma vegliare
nella notte non è facile, e non è qualcosa che si improvvisa: si
richiedono alcune doti e alcuni atteggiamenti che bisogna
coltivare. Il
popolo afroecuatoriano ha l’abitudine di vegliare e
cantare la notte intera per celebrare le principali feste della
propria tradizione religiosa: Sant’Antonio, la Madonna del
Carmelo, la notte di Natale, etc. Questa festa di vigilia si
chiama
‘arrullo’, parola che propriamente indica il canto che
accompagna la veglia. Io ho partecipato il luglio scorso all’arrullo
della Madonna del Carmelo: arrivata la mezzanotte, per me era
molto difficile rimanere sveglio, e mi sorprendeva vedere
l’ostinato entusiasmo con cui gli afro continuavano a cantare alla
Madonna, e a suonarle il tamburo, per tutta la notte, senza
fermarsi.
In questa
tradizione del popolo afroecuatoriano ho percepito un aspetto
messianico. Vegliare cantando fino all’alba, in effetti, è una
forma di resistenza, è una maniera di rispondere allo Parola, che
ci sprona a “resistere saldi nella fede” (1Pt 5,9). Se
l’Impero, di giorno, ci fa vivere in una realtà di incubi, e
alimenta incubi per rafforzare il suo potere, il popolo espressa
la sua volontà di continuare ad alimentare sogni. Non siamo
soddisfatti di come l’Impero organizza la nostra vita durante il
giorno: per questo aspettiamo la notte, per cantare e sognare
liberamente.
L’incubo si combatte con il sogno, con il canto e con
la festa. Per questo rimaniamo svegli, cantando a Dio e a Maria,
perchè con loro cerchiamo un cammino nuovo, con loro vogliamo
creare un mattino diverso. L’arrullo, dunque, è una maniera
di trasformare il tempo, una maniera per affrettare la venuta del
Bambino Gesú, o di Maria, perché vengano a consolare le nostre
pene e a darci l’energia necessaria per continuare a lottare, a
resistere e a cantare canti di vita.
Se non siamo
disposti a vegliare e cantare nella notte, se rinunciamo ad
aspettare il Messia, se ci siamo già abituati a convivere con gli
incubi imperiali e non vogliamo rivitalizzare i sogni di Gesú, non
possiamo piú definirci cristiani.
Certo che
restare svegli la notte è difficile, dicevamo: da un lato bisogna
tenere pazienza, perché sembra che la notte sia infinita e
che l’alba non giunga mai, ma dall’altro bisogna cantare con
entusiasmo, e toccare il bombo (un tamburo) con
energia, per disperdere la tentazione del sonno.
Saper unire la
pazienza all’entusiasmo dovrebbe essere la caratteristica propria
del popolo messianico, del popolo cristiano. Il nostro criterio di
condotta, dunque, dovrebbe essere la
‘pazienza ardente’
di cui
parlava Pablo Neruda in una sua poesia:
“Solo con una ardente pazienza
Conquisteremo la splendida cittá
Che dará luce, giustizia e dignitá
A tutti gli uomini”.
Le prime
comunità cristiane, nella loro attesa messianica, usavano un
linguaggio molto simile: “Attendendo la venuta del giorno di
Dio…noi aspettiamo, secondo la sua promessa, nuovi cieli e una
terra nuova, nei quali avrá stabile dimora la giustizia.
Perciò, nell’attesa di questi eventi, fate in modo che Dio vi
trovi in pace” (2Pt3,12-14).
Vigilare
e
“resistere nella fede”,
dunque,
significa sognare un mondo
diverso, impegnarci a sviluppare una prassi di giustizia,
in modo che Gesú ci trovi in pace. Purtroppo, se il Messia
venisse adesso, non ci troverebbe in pace, bensì in guerra: ci
troverebbe coinvolti in un massacro di innocenti che abbiamo la
spudoratezza di giustificare in nome della democrazia.
Cosa
dobbiamo fare, dunque, perchè Dio ci trovi in pace? Dobbiamo
trasformare questo tempo di incubi (terrorismo, cambiamenti
climatici, guerra biologica, fine del Diritto Internazionale, etc)
in un tempo di sogni.
Essere cristiani significa non
adeguarci a questa ‘nuova realtá’, come la chiama Tony Blair, non
rassegnarci all’idea che questi incubi siano la meta ultima e
inevitabile del cammino dell’umanitá, ma continuare a credere nel
sogno. Se non ci impegnamo in questo, rinunceremmo ad essere
cristiani, e la nostra presenza nel mondo non avrebbe piú nessun
senso.
Il Natale ci
ricorda la virtú fondamentale che ci aiuta a vegliare nella notte,
e che alimenta la nostra speranza: la capacitá di sognare,
e la pazienza di saper continuare a sognare nonostante
tutto.
Un’arma nonviolenta: la festa
“Il Signore
degli eserciti preparerá per tutti i popoli, su questo
monte, un banchetto di grasse vivande e vini eccellenti…Eliminerá
la morte per sempre; il Signore Dio asciugherá le lacrime
su ogni volto, restituirá l’onore al suo popolo…”
(Is 25,6-9).
In questa
straordinaria profezia messianica, Isaia immagina che Dio invita tutti i popoli a una festa. La finalitá di questa festa è
‘distruggere la morte’. Di fatto,
la festa
è una forma di resistenza contro la cultura di morte,
è uno spazio dove si vivono certi valori vitali, normalmente
negati dalla società. In questo senso,
celebrare la festa è un’altra
maniera di trasformare il tempo, un’altra arma nonviolenta che Dio
mette a nostra disposizione per combattere la morte: la festa
trasforma il tempo dell’egoismo e dell’individualismo nel
tempo della solidarietà e della condivisione.
Nella cultura
popolare degli Afro, la festa ha questo significato: in mezzo a
tante difficoltà, il popolo sente la necessitá di trascorrere un
po’ di tempo insieme agli altri, in allegria e serenitá,
condividendo quel poco che si ha. Si puó dire che la festa è lo
strumento principale con cui il Popolo Afro, per molti secoli, ha
lottato contro la morte, cercando - attraverso il canto, la danza
e l’allegria - di non soccombere alla disperazione e all’angoscia
provocata dalla schiavitù e dall’oppressione.
Alla fine di
questa festa cui sono invitati tutte le genti, Dio asciuga le
lacrime e restituisce l’onore al suo popolo.
La Parola, dunque, come scrivevo
in un’altra
lettera, ci propone la festa solidale dei popoli
come modello di politica estera.
La politica internazionale dovrebbe essere lo spazio in cui i
popoli dialogano pacificamente per affrontare e risolvere insieme
le situazioni che provocano sofferenza.
Scopo della
politica estera, dunque, dovrebbe essere
asciugare le
lacrime delle nazioni oppresse, e
riconoscere a ciascun popolo i suoi
diritti, il suo onore.
Purtroppo,
viviamo in un tempo in cui la politica internazionale, invece di
asciugare le lacrime dei popoli, le moltiplica, provocando dolore,
distruzione e morte. Questa profezia messianica, dunque, ci invita
a trasformare il tempo della guerra preventiva nel tempo della
festa solidale dei popoli. Di fatto, per molti aspetti, la festa è
ció che piú si contrappone alla guerra. Nella festa la gente si
sente serena, tranquilla, allegra, in pace: la festa è lo spazio
in cui si celebra la vita. La guerra, invece, é la situazione in
cui la gente sente paura, angoscia, terrore, panico, e piange: è
lo spazio in cui domina incontrastata la morte.
L’incubo
della guerra, dunque, si combatte con la festa, cioè,
alimentando il sogno di una politica estera festiva e fraterna.
Evocare il sogno
Nella mia
lettera di Quaresima -
“Preparare profumi”
- ricordavo che nel
Vangelo di Luca Gesú, subito dopo aver istituito l’Eucaristia,
parla dell’esercizio del potere: “Questo è il mio corpo che é
dato per voi. Fate questo in memoria di me….I re delle nazioni le
governano come signori assoluti e quelli che esercitano il potere
si fanno chiamare benefattori. Peró tra voi non sia cosí…Io sto in
mezzo a voi come colui che serve” (Lc 22,19-26). E dicevamo
che pronunciando queste parole durante l’ultima cena, Gesú vuole
trasmetterci e alimentare in noi un grande sogno: quello che sia
possibile una politica senza violenza, una politica senza
imposizione da parte del piú forte, una politica che esca dalla
logica del potere e della sopraffazione ed entri nella logica
eucaristica del servizio. E cosí,
da un lato Cristo ci propone una
politica ‘eucaristica’, e dall’altro ci propone una
eucaristia ‘politica’: ricevere il sacramento dell’eucaristia
significa entrare in comunione con una Persona che aveva un
progetto comunitario e politico alternativo, dove non prevalesse
la legge del piú forte.
Entrare in comunione con questa persona significa – fra le altre
cose – condividere il suo progetto e i suoi sogni:
la logica del
servizio fraterno deve entrare in tutti
gli ambiti della vita, anche nella maniera di organizzare la
società e di gestire il potere.
Nel momento
stesso in cui istituisce l’Eucaristia, e ci propone questo
progetto, Gesù ci dice che dobbiamo “fare memoria di lui”. Quando
celebriamo l’Eucaristia, dunque, dobbiamo far memoria, ricordare
questo sogno che Gesú ci ha lasciato alla vigilia della sua Morte.
É importante ricordare tutti i sogni di Gesú. Le nostre eucaristie
dovrebbero aiutarci in questo: ad
‘evocare’
- cioè a
richiamare alla memoria - i sogni
del Messia, a tener viva la speranza e l’attesa messianica.
Invocare, evocare, provocare e
convocare
E-vocare
propriamente significa ‘chiamare da fuori’: dobbiamo riconoscere
che, per molto tempo, questo sogno è rimasto fuori dalle nostre
celebrazioni, è rimasto fuori dalla vita delle nostre comunità.
Ma per poter
‘chiamare da fuori’ questo sogno, dobbiamo
in-vocare
Dio,
dobbiamo cioè
‘chiamare dentro’, portare la nostra preghiera e il
nostro impegno dentro il cuore il Dio: dobbiamo familiarizzarci
con il sogno di Dio, entrando in comunione con il Cuore che ha
originato questo sogno. Come ci avverte padre Rupnik, una
tentazione in cui possiamo facilmente cadere è quella di
credere
che si possa vivere da cristiani senza entrare nel cuore di
Cristo, e pensare che si possano proporre i valori evangelici
senza entrare in comunione con Colui che ci ha annunciato il
Vangelo. “Io sono la Resurrezione”, dice Gesú. La
Resurrezione, dunque, è il modo di essere di Dio, che ha in se
stesso la capacitá di suscitare vita, gioia e speranza lí dove i
potenti volevano produrre rassegnazione, disperazione e morte.
A questo
proposito, è importante ricordare – nell’episodio della
resurrezione di Lazzaro – il ruolo di sua sorella Marta. Marta ama
moltissimo suo fratello Lazzaro, ma nonostante il suo grande amore
non ha in sé la forza di vincere la malattia che lo sta uccidendo,
non ha in sé la forza di produrre gioia lí dove la malattia e la
morte han prodotto disperazione. Solo quando Marta entra in
comunione con Gesú e lo riconosce Figlio di Dio (Gv 11,27) Lazzaro
puó uscire dalla tomba. Questo significa che se noi –
come
missionari – non invochiamo Dio e non entriamo nel suo cuore, il
nostro annuncio non puó essere Buona Notizia, perché – anche se
parliamo di valori evangelici – ci mancherebbe la forza del
Vangelo vivo, Gesú Cristo, che è l’unico che puó infondere gioia e
speranza in una situazione di dolore e di morte, l’unico che puó
trasformare un tempo di tenebra in un tempo di luce. In altre
parole,
se la Resurrezione non è in noi, potremo sdegnarci e
denunciare le tenebre, ma non saremo capaci di combattere la
rassegnazione e lo scoraggiamento, perché ci mancherebbe quell’energia
contagiante, quello Spirito di amore, di bellezza e di gioia senza
il quale non è possibile risvegliare i cuori e suscitare speranza.
Solo in questo
modo, dopo aver invocato Dio, dopo essere entrati nel suo Cuore ed
esserci lasciati contagiare e profumare dal suo Spirito, potremo
pro-vocare,
potremo cioè ‘chiamare in avanti’. Come
cristiani, siamo chiamati a ‘provocare’ la nostra societá, cioè, a
lanciarla in avanti:
il sogno di Dio ci proietta verso il futuro,
ci invita a non rassegnarci, a non accontentarci di ciò che ci
propone l’attualità, e a trasformare il presente nel futuro che il
Signore sogna da sempre. In questo modo, e solo in questo modo,
potremo
con-vocare,
potremo cioè
chiamare molta gente attorno
all’altare del Dio che si fa pane per condividere con noi il suo
sogno di pace e di fraternità.
In altre
parole, solo una chiesa che provoca puó convocare; se non
‘provochiamo’ la nostra societá, se non la lanciamo in avanti
verso Cristo e il suo Vangelo, se perdiamo il nostro profumo
messianico, perderemo il nostro potere convocatorio, perderemo la
nostra ragione d’essere.
Invocare per
poter evocare, evocare per poter provocare, provocare per poter
convocare: in queste quattro parole si riassume il nostro
programma pastorale per questo Avvento.
Cambiare il corso della storia
Cominciamo,
dunque, a evocare i sogni che Gesú ha suscitato nelle prime
comunitá cristiane.
Il primo di
questi sogni é strettamente collegato alla Resurrezione. Sappiamo
che l’antico Israele non credeva nella risurrezione dei morti. La
fede nella risurrezione cominció ad emergere solo attorno il III e
II secolo avanti Cristo, in un momento di profonda crisi, quando
il popolo d’Israele era oppresso dall’Impero ellenista. Dio
sembrava impotente di fronte alla prepotenza di questo grande
Impero; fu allora che – in mezzo al popolo – nacque una grande
speranza, cui dette voce la
letteratura apocalittica:
sembra che
Dio stia ‘dormendo’, ma in realtà sta preparando il suo
intervento. Non sappiamo ancora come e quando, peró sí sappiamo
che Dio interverrà, non abbandonerà la storia nelle mani dei
potenti: fra poco Dio si manifesterà ai poteri del mondo per fare
giustizia. Dio ha il potere di trasformare il tempo e di rifare
il mondo, Dio ha il potere di cambiare il corso della storia.
La maggior
parte della letteratura apocalittica – a differenza del libro di
Daniele – immaginava questo intervento di Dio come un intervento
militare spettacolare.
Gesú rifiuta il militarismo apocalittico, peró riprende l’idea che Dio ha a cuore il destino del suo popolo
e interverrá per inserire in questa storia di ingiustizia e
violenza un seme di giustizia e di pace. Questo progetto Gesú lo
esprime attraverso la categoria del “Regno di Dio”:
di fronte alla
violenza e allo crudeltà dell’Impero romano, Gesú propone
il progetto alternativo del Regno.
Per i
discepoli questo stesso progetto di Dio si manifestó pienamente
nella Resurrezione: “Voi l’avete inchiodato sulla
croce per mano di empi e l’avete ucciso. Ma Dio lo ha
risuscitato, liberandolo dalla morte” (At 2,23-24). Con
queste parole Pietro presenta la Resurrezione come una reazione
divina contro la violenza umana. I sacerdoti del Tempio e i
rappresentanti dell’Impero fecero assassinare Gesù;
con la
Resurrezione, Dio volle dis-fare questo
assassinio, volle annullare la morte decretata dai potenti; con la
Resurrezione, Dio dimostra che ha il potere di invalidare le
decisioni criminali dell’Impero, e di rendere nulla la sua
politica di morte.
Gesú fu
ammazzato dal potere politico-religioso in nome di Dio. Ma adesso
Dio, resuscitando suo Figlio, mette in chiaro che Lui non ha
niente a che vedere con tutte quelle strutture e quei governi che
promuovono massacri, torture e guerre nel suo nome. Si potrebbe
definire la Resurrezione come un atto di obiezione di coscienza,
da parte di Dio, contro l’Establishment politico-religioso che
parla in suo nome per giustificare l’omicidio e l’oppressione. Con
la Resurrezione, Dio crea vita lí dove l’Impero aveva voluto
distruggerla. Cosí,
in mezzo a una storia di
crocifissione, di peccato e di morte, Dio scrive una contro-storia
di resurrezione, di grazia e di vita.
In altre
parole, con la Resurrezione Dio vuole riscrivere la storia, vuole
lanciare il corso della storia in una nuova direzione, e apre la
porta a un sogno audacissimo: la morte sará sconfitta; non
saranno la morte e l’oppressione a pronunciare l’ultima parola
sulla vita dell’uomo.
Annunciare la pace
“Il
Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti
dei popoli. Ma il piano del Signore sussiste per sempre, i
pensieri del suo cuore per tutte le generazioni”
(Sal 33,10-11).
Il signore
annulla la morte decretata dall’Impero, il Signore annulla i
disegni di guerre preventive, rende vani i progetti di ‘massacri
umanitari’.
Come dice il
salmista, il progetto del Signore non è cambiato in tutti questi
secoli: è rimasto lo stesso, sussiste per sempre.
E qual é
questo progetto del Signore?
“Ascolteró che cosa dice Dio, il
Signore. Egli annunzia la pace…” (Sal 85, 9).
‘Pace’:
questo era il progetto di Dio tremila anni fa, quando cominciarono
a cantare questo salmo. Mille anni dopo, quando mandó suo Figlio,
il suo progetto non era cambiato: “Gloria a Dio nel piú alto
dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama” (Lc
2,14).
‘Pace’ è la
parola che collega il Natale alla Pasqua: ‘pace’ fu la parola
degli angeli ai pastori, e ‘pace’ fu la parola del Risorto ai suoi
discepoli: “La pace sia con voi” (Gv 20,21). È incredibile:
dopo aver sofferto la violenza della croce, la piú grande tortura
che infliggeva l’Impero, Gesú continua a sognare la pace: dalle
sue labbra non esce una sola parola di odio o di vendetta, o di
rappresaglia, o di incitazione alla violenza ‘preventiva’.
Certamente,
annunciare la pace in un momento in cui l’Impero parla solo di
guerra, puó sembrare una pazzia; credere nella vita e nella
resurrezione in un tempo di violenza e di morte puó sembrare un
delirio. E di fatto, questo fu l’atteggiamento degli apostoli
quando le donne dissero che era apparso il Risorto per annunciare
la pace: “Pensavano che si trattava di un delirio, e non ci
credettero” (Lc 24,11). ‘Peró tu, Chiesa di Dio’, ci
esortava il compianto Tonino Bello, ‘figlia primogenita della
Pasqua di Gesú, non aver paura di cadere in certi delirii. Sto
ricordando le parole di
don Tonino
a memoria, non ho sottomano la
citazione esatta. E continuava:
‘Se credi nella Resurrezione,
devi credere anche nelle parole del Risorto: non puoi accendere il
video e spegnere l’audio. La prima parola del Risorto è ‘pace’:
non puoi accogliere solamente la visione di Gesú e dimenticare
quello che Gesù ti sta dicendo, non devi permettere che riducano
la pace a un elemento del mondo delle favole’.
E di fatto, è
questo che vuole ottenere l’Impero: ridurre il sogno di Gesù a un
delirio, farci desistere dal nostro sforzo di evocare i sogni del
Risorto, farci credere che i sogni di Gesù sono pura illusione,
convincerci che la tortura, la distruzione di città intere e il
massacro di innocenti sono uno strumento legittimo e necessario
della politica internazionale.
Ma noi
sappiamo che la nostra fede nella resurrezione è tutt’uno con la
nostra fede nella pace, che è il progetto politico e missionario
di Cristo: “Egli è venuto ad annunciare la pace” (Ef 2,17).
La pace non è una fola, non è l’illusione eccentrica di un
profeta impazzito: è la ragione dell’Incarnazione di Dio, è ciò
che ha spinto Dio ad indossare pannolini nella grotta di Betlemme,
è il sogno che il Risorto ha voluto suscitare nelle nostre
comunità. La pace, la nonviolenza evangelica, non è una chimera,
non è una menzogna: la vera menzogna è la violenza, è la ‘guerra preventiva’, che promette di combattere il terrorismo, ma in
realtà lo alimenta, lo moltiplica e lo rafforza.
Il diritto di delirare
E comunque, se
per un attimo anche noi avessimo pensato – con gli apostoli - che
il racconto di Maria Maddalena è solo un delirio, dobbiamo adesso
riconoscere che l’avvenimento della Resurrezione dà diritto di
cittadinanza al delirio. Se per l’Impero l’unica politica saggia e
razionale è la ‘guerra preventiva’,
dobbiamo
rivendicare il diritto di delirare
e di continuare a gridare e sognare la
pace.
Vi propongo adesso alcuni passi del “Diritto al delirio”,
che Eduardo Galeano ha composto in occasione dell’inizio del nuovo
millennio:
“Per un
millennio che se ne va, ecco un altro che viene: è l’occasione
propizia - per gli oratori di infiammata retorica - di dissertare
sul destino dell’umanità, mentre il tempo continua, con la bocca
chiusa, a camminare lungo lo spazio dell’eternità e del mistero.
Anche se non possiamo indovinare come sarà il tempo che verrà,
abbiamo almeno il diritto di immaginare come vorremmo che fosse.
Nel 1948 e nel 1976 le Nazioni Unite hanno proclamato lunghe liste
di diritti umani; ma l’immensa maggioranza dell’umanità ha solo il
diritto di vedere, sentire e tacere. Che ve ne pare se cominciamo
ad esercitare il diritto di sognare, anche se non è riconosciuto
in nessun documento? Che ne dite se per un po’ ci mettiamo a
delirare?
E allora
iniziamo: L’aria sarà pulita; gli unici veleni permessi saranno
quelli dei timori umani e della passioni umane. La gente non sarà
più guidata dall’automobile, nè sarà programmata dal computer, nè
sarà comprata dal supermercato, nè sarà guardata dalla
televisione. Il televisore non sarà il membro più importante della
famiglia, e sarà trattato come il ferro da stiro.
Gli uomini
lavoreranno per vivere, invece di vivere per lavorare. Nei codici
penali di tutti i paesi si introdurrà il reato di stupidità,
commesso da coloro che vivono per possedere o per guadagnare,
invece di vivere semplicemente per vivere, così come fa l’uccello
che canta senza sapere cosa canta, o il bambino che gioca senza
sapere a cosa sta giocando.
In nessun
paese si metteranno in carcere i giovani che si rifiutano di
svolgere il servizio militare; al contrario, andrà in prigione chi
vorrà arruolarsi.
Gli
economisti smetteranno di chiamare ‘livello di vita’ il livello
dei consumi, e non chiameranno più ‘qualità di vita’ la quantità
delle cose.
Gli storici
smetteranno di credere che le nazioni non vedono l’ora di essere
invase e distrutte. Il mondo non farà più guerra ai poveri ma alla
povertà, e l’industria militare si vedrà obbligata a dichiarare
bancarotta.
Il cibo non
sarà una merce, né la comunicazione sarà un affare, perché il cibo
e la comunicazione sono diritti umani. Nessuno morirà di fame,
perchè nessuno morirà di indigestione. L’educazione non sarà più
privilegio esclusivo di chi può permettersi di pagarla, e la
polizia non sarà più la maledizione di chi non può comprarla.
Una donna,
una negra, sarà presidente del Brasile, e un’altra donna, anche
lei negra, sarà presidente degli Stati Uniti; una india governerà
il Guatemala, e un’altra il Perù. In Argentina le ‘pazze’ di Plaza
de Mayo saranno un esempio di salute mentale, perchè si
rifiutarono di dimenticare quando l’amnesia era un obbligo per
tutti.
Saranno
rimboscati i deserti del mondo e i deserti dell’anima. Saremo
compatrioti di tutti coloro che amano la giustizia e la bellezza,
non importa dove siano nati, perché dalla carta geografica saranno
sparite le frontiere….”
Il potere della stella
“Quando
riapparve la stella,
i Magi provarono una grandissima gioia”
(Mt 2,10)
Tanto più scura è la notte, tanto
più brillano le stelle.
In questa notte oscura, in questo ‘scontro di civiltà’ decretato dall’Imperatore,
i cittadini dell’Impero ostentano decisione e sicurezza sotto le
ali protettive dei loro cacciabombardieri. Ma nel cuore che
palpita al di là della ‘corazza’ che vogliamo ostentare, vivono
tante nostalgie: nostalgia di verità, nostalgia di pace, nostalgia
di comunione, nostalgia di fraternità. Tanto più scura è la notte,
tanto più brillano le stelle. Per questo la stella di
Betlemme quest’anno risplende più luminosa che mai.
“Io
dormo, ma il mio cuore veglia”,
dice la protagonista del
Cantico dei cantici (Ct 5,2). Nonostante
tutti i loro cacciabombardieri e nonostante tutti i loro kamikaze,
l’Impero e Al-Qaeda non possono distruggere questo cuore, al
massimo lo possono addormentare per un po’ o drogare.
Questo è il
punto debole dei
violenti: che sono impotenti di fronte ai sussurri di pace e
fraternità che Dio continua ad alimentare nel nostro cuore. E questo è il nostro
punto di forza:
che i violenti non possono impedire che Dio continui a parlare al
cuore. La
nostra
priorità missionaria, dunque, sarà
risvegliare questo
cuore: portare alla luce tutte queste nostalgie che quest’anno
palpitano più forti che mai, risaltare la forza di questa piccola
stella che, in mezzo alla preponderanza del buio, ha il potere di
risvegliare in tutti noi fragranze dimenticate, speranze che
sembravano perdute.
A volte, quando
vedo la tronfia arroganza dei cannoni e dei missili, mi fanno
pena, perché nessun cannone potrà distruggere il
profumo della fraternità;
al contrario, alimenterà tante nostalgie. L’Impero romano, con
tutti i suoi carri e i suoi cavalli, con tutte le sue lance e le
sue spade, non ha potuto impedire che il Dio in pannolini
diffondesse il profumo ‘sovversivo’ del Vangelo.
Per alimentare
la nostra speranza e la nostra allegria, dunque, abbiamo bisogno
di guardare questa piccola stella che con gli angeli ci grida:
“Pace in terra!”. È una stella che Erode vorrebbe far tacere, ma
in questi duemila anni nessun Imperatore è riuscito a spegnerla:
dopo due millenni, questa stella rimane lì, imperterrita, a
indicarci il cammino del Signore, a turbare il sonno dei potenti,
a mantener vivi i sogni che l’Impero non riesce a strappare dal
nostro cuore.
Imparare a con-siderare
Sappiamo che
la parola
‘con-siderare’ deriva dal latino ‘con’ (‘insieme’)
e ‘sidus-sideris’ (‘stella’). ‘Considerare’, dunque,
propriamente significa
‘guardare insieme la stella’: non
accontentarci dei progetti dei governi terreni, ma contemplare e
considerare le cose dal punto di vista di Dio; non limitare il
nostro sguardo alla convenienza del presente, ma allargarlo
all’orizzonte del futuro. E tutto questo dobbiamo farlo insieme.
In questo Natale, impegnamoci – nella nostra scuola, nella nostra
famiglia, nella nostra parrocchia, nei nostri gruppi, nella nostra
comunità – a ‘guardare insieme la stella’. Fermiamoci un po’ di
tempo a contemplare, ricreamo spazi comunitari di riflessione,
insegnamo ai
nostri figli a
sognare, introduciamo una nuova
materia – il ‘delirio’ – nel curricolo scolastico,
educhiamo i
giovani a considerare la nostra vita alla luce della stella e del
messaggio di Betlemme, senza complessi d’inferiorità di fronte al
mondo ‘postmoderno’.
Perché questa società sembra aver perso la capacità e la volontà
di sognare, ma è proprio quando l’aridità si fa più forte che la
gente – assetata – ricomincia a cercare l’acqua.
Credere nel
Natale significa credere che è possibile
trasformare il tempo della siccità nel tempo della fertilità, il
tempo del buio nel tempo della stella che risveglia il cuore.
fr. Alberto
Degan
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