Il
17 ottobre è stata dichiarata
Giornata Mondiale ONU contro la povertà.
L’ideatore di questa iniziativa
fu padre Joseph Wresinki, un prete francese di origine polacca,
che trovandosi di fronte a 2000 senzatetto ammassati in una
discarica abbandonata fece la promessa a se stesso: "Far salire
gli emarginati sulle scale dell'Eliseo, del Vaticano, dell'ONU".
Il 17 ottobre 1987 inaugurò una
lapide in commemorazione di tutte le vittime della miseria e
nacque la tradizione della "Giornata Mondiale" del rifiuto della
miseria, riconosciuta dalle Nazioni unite nel 1992.
Ogni anno il giornale di strada
di Milano "Terre di Mezzo" lancia a livello nazionale l'iniziativa
"La Notte dei Senza Dimora" per celebrare questa giornata.
La "Notte dei Senza Dimora"
vuole essere un modo semplice per combattere i pregiudizi legati
alla povertà. Attraverso questo momento di sensibilizzazione si
propone di informare fornendo materiale e dati
aggiornati.
Denunciare i problemi
vissuti dalle persone di strada, dalla mancanza di servizi alle
difficoltà nell'assistenza ed avvicinare chi partecipa
all'iniziativa alla condizione dei Senza Dimora.
1.
Voglio farcela!
2.
Afghanistan
3.
L'Italia un posto bello...
4.
Il buratto
5.
Per realizzare un desiderio
6.
Non mi manca nulla
1.
Camminavo
2.
Cosa si dice
3.
Io solo
4.
La notte
5.
Sirio
6.
Strada
-
il giornale di strada di
Milano;
-
i volontari di strada di
Trento;
-
l' associazione romana
Casa dei diritti sociali;
-
l'
associazione Papa Giovanni XXIII
di Bologna;
- il
giornale di strada Piazza Grande
a
Bologna;
-
la
Fondazione Auxilium di
Genova;
- l' associazione torinese
Opportunanda che ha anche un
giornale
OCCHI NUOVI
Giulia
10 marzo 2004
Il nostro Centro è un po’ il luogo delle improvvisazioni, ed
è forse questa la sua ricchezza più grande.
Ogni domenica ci si improvvisa un po’ di tutto: possiamo
essere consolatori, camerieri pazienti, corridori,
infermieri, burberi buttafuori (raramente…), assistenti,
sportelli informativi…
Davanti a noi si apre un mondo caotico, molto odoroso,
vivace, stanco, nervoso, desideroso d’essere visto a volte,
altre schivo, silenzioso.
E’ un “mondo” che richiede rispetto.
E capacità d’ascolto.
Non c’è uno stacco netto tra noi e loro. Questo è
importante. Molti dei nostri ospiti sono solo di passaggio.
Noi possiamo cogliere solo un pezzo della loro strada, che
magari forse, tra qualche mese, sarà “brillante”, sarà più
vicina ai nostri parametri di “normalità”.
Alcuni volti per noi sono da anni familiari. Magari qualche
anziano signore, solo, un po’ troppo amante dell’alcol. Una
donna dai capelli bianchi, che vive in una casa popolare del
comune.
Fa invece male vedere ogni domenica i volti di giovani,
giovanissimi che hanno fatto della strada la loro vita. Che
non riescono più a rialzarsi, a vedere l’uscita.
Fa
male vedere ragazzi addormentarsi sui piatti perché gonfi
di eroina.
E’ una
gioia
invece a volte poter vedere i passi enormi di
albanesi, romeni, marocchini, ragazzi con una grande voglia
di farcela, di lavorare, di integrarsi.
Ancora oggi alcuni di loro passano a trovarci, qualcuno ogni
tanto presta servizio insieme a noi.
Allora, in questi momenti, si raggiunge la consapevolezza
che non c’è una barriera tra noi e gli ospiti.. che non ci
deve essere nessuno sguardo o approccio “dall’alto in basso”
da parte nostra. Perché ciascuna delle persone incontrate
sta combattendo una battaglia personale intensissima di
fronte alla quale non possiamo che ritenerci uguali, dei
pari, sì, a volte solo dei privilegiati.
Certo, ci sono anche furbi, approfittatori, là in mezzo.
Persone che non si fanno scrupoli e raggirano quanti stanno
loro intorno, approfittando magari dell’ingenuità dei
volontari.
Non ci deve essere solo giustificazione o tolleranza. Sia
ben chiaro.
Aiutare significa
anche chiedere agli altri responsabilità e non considerare
chi si ha davanti un guscio vuoto privo di coscienza. Anzi.
Mai pensare questo. Significa togliere dignità alla persona.
Quindi domenica io vi chiedo una cosa.
Una cosa che io stessa mi ripromisi fermamente quando per la
prima volta entrai al Centro Andrea.
Aprite bene gli
occhi. Quanto più potete.
Tenete vivo il vostro
sguardo
sulla vita senza
avere mai la presunzione d’essere “arrivati”.
Il Centro è il luogo che conferma quanto dico.
Più lo si penetra a fondo, più le “verità” si infittiscono,
divengono cangianti, si sfumano le une nelle altre, ridando
sempre nuovi significati alla vita.
Servire
è un gesto preziosissimo, che richiede concentrazione, deve
essere fatto con sincerità, alla pari. Altrimenti si perde e
stempera nella nostra estraneità a questo luogo.
La prima volta si è estranei. Tutto sciocca e riempie
l’anima di interrogativi. Ma non c’è nessuna fretta.
Solo tenete lo sguardo vivo sulle persone. E’ la cosa più
importante.
Qui prima di tutto si impara.
Si impara davvero, e si
raggiunge la certezza che si debba
far parlare la
vita prima di aprire
bocca noi.
Questo è il luogo delle grandi contraddizioni. Qui le
contraddizioni si incontrano e manifestano rilasciando
dolore, incomprensione. A volte, paradossalmente, anche la
più impagabile gioia.
Qui si riversano tutte le
contraddizioni della
nostra grande “civiltà occidentale”… così come ho visto in Africa. Che al
contrario di quanto si tenda generalmente a pensare, è
anch’essa affare nostro… in tutti i sensi.
Al centro si abbandona il buonismo. Ci si sente
infinitamente piccoli.
Questo è, se volete, il regno dell’ironia, del grottesco,
dei personaggi che vengono a mostrare la maschera della loro
sopravvivenza.
Questo è anche il mondo di coloro che sono lontani da casa,
dai loro paesi, e devono confrontarsi con il nostro mondo
della strada, pronti ad imparare tutto. A volte proprio
questi sorprendono per la loro disarmante lucidità e per una
capacità d’integrazione velocissima.
Questo è un luogo cangiante, a volte infingardo, scorbutico,
lunatico.
Furbo.
Niente buonismo quindi. Niente paura. Nessun “ti salverò”.
Qui c’è la
vita
nella sua immediatezza.
Osservatela e poi provate a scrivere cosa avete provato,
cosa voi avete visto.
Io sono solo un piccolo punto di vista… e desidero quanto
mai imparare ancora.. magari ascoltando altre angolazioni!!
Grazie di cuore
A
presto
Giulia
|
Voglio farcela!
Oggi incontro una donna dell’Ucraina
che viene da un’ esperienza familiare particolarmente
difficile e che nella sua migrazione ha incontrato altra
fatica e altro dolore che non hanno ancora trovato la parola
fine.
E’ una donna di 50 anni che mi colpisce per la grande
dignità che traspare dai modi e dal suo aspetto seppure un
poco dimesso. Per nulla paragonabile alla maggior parte
delle cinquantenni che incontriamo per le strade di Trento:
quasi una donna d’altri tempi.
Poco abbiamo potuto fare per lei e quel poco non certo
perché questa donna lo abbia chiesto. La sua sofferenza
l’abbiamo intuita dal suo sguardo schivo, dolce e triste
insieme.
Dopo tanti mesi di brevissimi incontri le ho chiesto se
se la sentiva di raccontarci un pezzettino della sua storia
per aiutare noi ed i lettori del giornalino a comprendere e
magari sentirsi un poco più solidali con chi arriva da
lontano e ci vive accanto.
“Avrei molte cose da raccontare ma non so da dove iniziare,
perdonami perché non posso esprimere al meglio le
vicissitudini della mia vita ed i miei sentimenti”.
La rassicuro che cercherò di
aiutarla a trovare le parole anche se l’emozione che lei mi
sta trasmettendo attraverso lo sguardo dei suoi due enormi
occhi grigi sarà solamente mia.
“Vivo qui a Trento da un anno e mezzo
perché dalla dissoluzione
dell’U.R.S.S. la situazione economica
nel mio paese è precipitata,
le fabbriche hanno chiuso e nelle campagne ogni produzione è
crollata.
La mia situazione familiare da molti anni è difficile, 25
anni fa mi sono separata da mio marito quando avevamo già
due figli maschi, uno nato con gravi problemi cardiaci per i
quali è stato operato ben due volte, l’altro ragazzo all’età
di 4 anni in un incidente ha perso le dita della mano
destra. Quanto dolore.
Ho sempre sgobbato per farli crescere al meglio delle mie
possibilità, lavoravo la campagna ed oltre che mantenere
loro aiutavo mia madre a crescere le tre bambine di una mia
sorella morta giovanissima.
Tredici anni fa sono riuscita a costruire una casa per me ed
i miei figli ero piena di
speranze per il nostro futuro, i
miei figli avevano da lavorare pur con i loro problemi
fisici, uno faceva l’autista e l’altro lavorava in fabbrica.
Poi 10 anni fa il disastro.
In uno spazio di tempo
brevissimo c’è crollato il mondo addosso. Niente più lavoro
e tutto quanto comprese le cure mediche diventano a
pagamento! Mia madre percepisce una piccola pensione che con
il crescere del costo della vita diventa sufficiente solo
per pagare l’affitto e la luce.
Io ho continuato a sgobbare
in campagna ma ormai non bastava più.
Ho cominciato a
sentire di tante donne che partivano per i paesi
occidentali: Italia, Francia, Germania, Canada, Israele. Le
famiglie più fortunate erano quelle con il marito che poteva
partire per l’estero per lavorare mentre la donna restava in
famiglia. Per me questo non era possibile e comunque i figli
grandi mi permettevano di tentare io stessa l’avventura.
Io sempre molto povera e sola non potevo che contare sulle
mie forze. Decido così di partire, scelgo l’Italia perché
una mia amica mi dice che qui si viene trattati bene.
Appena giunta a Trento trovo un lavoro, persone bravissime,
ma l’anziana sta troppo male e viene portata al ricovero, i
familiari mi aiutano e trovo un’altra famiglia. Anche questo
lavoro termina, purtroppo questa volta l’anziano muore e mi
dispiace molto perché sono tutte brave persone. Anche questa
volta vengo aiutata per un altro posto. Qui però rimango
solo 10 giorni perché mi ammalo.
Avevo sempre dolore al ventre finché una notte ho un’
emorragia; la signora mi porta subito all’ospedale, vengo
ricoverata per esami. Arriva l’esito, il dottore mi dice che
ho un tumore. Sono disperata, mi sento nuovamente crollare
il mondo addosso, non capisco più nulla.
La signora viene a trovarmi e cerca di consolarmi dicendomi
che in fondo sono fortunata perché ammalarmi a Trento è
molto meglio che in Ucraina in questo momento; aggiunge che
certamente verrò curata al meglio e che guarirò.
Rimango ricoverata per tre mesi in quanto non posso essere
operata ma mi vengono praticate terapie radianti e chemio.
La signora che mi ha portata all’ospedale mi viene a trovare
anche nei momenti più difficili e sono fortunata perché nel
frattempo è giunta in Italia una mia sorella la quale trova
subito lavoro e mi fa visita quando le è possibile.
Il 26 agosto terminano le terapie e vengo dimessa, mi
aspettano molte visite di controllo ma i medici dicono che
ho risposto bene alle cure e che le speranze di farcela sono
buone. Io mi sento uno straccio, non ho forze ed il morale è
a terra.
Subito dopo la dimissione dall’ospedale vengo ospitate per
un po’ di giorni dalla famiglia presso la quale lavora mia
sorella e poi trascorro alcuni giorni in una casa
abbandonata finché finalmente a settembre non si libera per
me un posto presso la Casa della Giovane.
Non ho più denaro, sono più di quattro mesi che non lavoro,
sento al telefono uno dei miei figli, deve andare
all’ospedale, ha uno dei suoi periodi di terribili dolori di
testa, ogni anno ha un ricovero di circa un mese e poi
riprende a stare bene.
Ora nel mio paese si pagano medicine e ricoveri, io cerco
aiuto presso delle conoscenti qui in città, una donna mi
presta 500 euro altre donne altri 300 che posso inviare a
casa. Come farò a restituirli! Ora ho anche questo debito.
Una famiglia ha fatto per me la richiesta di
regolarizzazione, spero vada tutto bene così da poter
lavorare alcuni mesi”
Piange ed io mi sento davvero in difficoltà a continuare
a scrivere il suo racconto.
“Ieri ho potuto parlare al telefono con mia madre, che ha 79
anni, lo sai io l’ ho aiutata a crescere anche le figlie di
una mia sorella che è morta giovane. Ora sono tutte sposate
ma la più giovane di loro è tornata a vivere con la nonna
perché il marito che era emigrato in Spagna per lavoro lì è
stato ucciso. Bene, mia madre al telefono piangeva perché mi
ha detto che non hanno più legna e nemmeno il denaro per
comprarla (con 150 euro si compra la legna per tutto
l’inverno). Lì adesso le temperature arrivano anche a meno
venti gradi.
Credo di essere uno di quei casi disperati che non
troveranno mai delle risposte, io volevo riuscire ad aiutare
tutti, con i guadagni di un lavoro in Italia se si rimane
modesti si aiutano molte persone al paese.
Io ora sono ammalata, tante volte penso che non ce la farò,
certe volte penso di tornare subito a casa dopo i controlli
di dicembre in ospedale ma poi cambio idea pensando ai
debiti ed allora prego che la regolarizzazione arrivi presto
e forse almeno alcuni mesi di lavoro li potrò ancora fare.
I miei due figli abitano vicino a mia madre, fanno quello
che possono, con i loro problemi di salute e con il lavoro
che non c’è. Loro si arrangiano con qualche ora lavorata qua
e là e se sono fortunati il lavoro c’è per due o tre giorni.
Oggi io provo tanta vergogna, non per la povertà in sé ma
per il fatto di dover dipendere per tutto da altre persone,
mi vergogno di dover chiedere. Io vedo altre donne che hanno
faticato tanto ma ora ce l’ hanno fatta; le vedo girare in
città ben vestite ed in compagnia fra loro, hanno ripreso a
sorridere.
Io sempre di più cerco di stare sola, anche dove dormo
fatico a stare insieme alle altre donne che cambiano
continuamente ed ogni giorno ne conosco di nuove mentre io
rimango sempre ancora lì!
In certi momenti mi sembra di impazzire.
Sento di essere esaurita,
voglio farcela ma ho tanta paura”.
|
Afghanistan
H. e M. sono due uomini
afghani, hanno 24 e 29 anni e
vivono in Italia l’uno da tre, l’altro da due anni. H. ha
ottenuto l’asilo politico e M. ha un permesso di soggiorno
per motivi umanitari.
Entrambi sono fuggiti dall’Afghanistan, un paese da
sempre in guerra.
Anche se non è stato facile per loro raccontarsi, hanno
voluto regalarci questa testimonianza, molto forte e cruda,
al fine di far conoscere ai lettori le sofferenze che hanno
vissuto nel loro Paese.
·
H. è il primo a parlare: ha vissuto una lunga e triste
vicenda personale che vuole raccontare.
Io ho dovuto fuggire dai talebani, che hanno portato via le
nostre donne e distrutto le nostre famiglie.
Nel mio paese c’è la guerra da 30 anni: io sono nato con la
guerra e ho vissuto nella guerra. Non ho mai visto una vita
buona, tranquilla. Prima eravamo in guerra con la Russia,
poi sono arrivati i talebani. I talebani non sono Afghani,
ma provengono dal Pakistan. Erano cattivi con noi, ci
obbligavano ad andare sempre alla moschea anche se noi non
volevamo. Io e la mia famiglia avevamo una piccola fabbrica
di pelli ma ce l’hanno bruciata. Loro vogliono la shari’a.
Mio padre era un medico; quella sera eravamo tutti in casa a
cenare. Dopo la cena sono venuti due talebani hanno detto a
mio padre che un militare era ammalato e che doveva andare
con loro per visitarlo. Anche mio fratello è andato con lui,
mentre io sono rimasto in casa con mia madre. Quando sono
arrivati il militare era già morto e per questo hanno
incolpato mio padre; hanno incarcerato lui e mio fratello.
Due ore più tardi sono andato a vedere cosa era successo e
hanno preso anche me.
Ci hanno sottoposto a torture, mi hanno fatto
l’elettroshock, ci davano pochissimo da bere e da mangiare e
ci picchiavano. Il mio viso porta il segno di tutto questo:
mi hanno fatto delle punture sul viso, che mi hanno
provocato questo gonfiore. Ho visto mio fratello morire
sotto l’effetto dell’elettroshock.
Un giorno però con altre sette persone sono riuscito a
fuggire, mentre mio padre è rimasto in prigione visto che a
causa delle botte le sue gambe non potevano muoversi. Sono
tornato da mia madre, che nel frattempo aveva dovuto vendere
il negozio che teneva. Lei mi ha detto: “figlio mio vai,
parti così almeno tu ti salvi.” Sono partito subito;
dall’Afghanistan ho attraversato a piedi e in pullman il
Pakistan, quindi sono arrivato in Iran, sono passato
attraverso le montagne a cavallo, pagando per il viaggio, e
così sono riuscito ad arrivare in Turchia. Purtroppo però la
polizia mi ha rimandato in Iran, ma sono ritornato in
Turchia dentro un camion, pagando con i soldi ricavati dalla
vendita del negozio e sono arrivato in Italia. Sono stato
quattro giorni e quattro notti nel camion, ma per fortuna
c’era da bere e da mangiare. L’Italia mi è piaciuta molto e,
anche se volevo andare più a nord, sono rimasto a Roma e lì
ho fatto domanda di asilo politico. Per un anno ho dormito
in un cartone alla stazione. Poi per nove mesi sono stato in
un centro di accoglienza. Un padre mi ha aiutato, mi ha
portato da un medico, che mi ha operato al viso.
Adesso cerco lavoro qui a Trento, spero di trovarlo. Voglio
aiutare mia moglie e le mie due figlie. Quando sono fuggito
dall’Afghanistan le ho portate con me fino in Pakistan, dove
vivono i genitori di mia moglie. Ho molta nostalgia di loro.
Mio fratello è morto in guerra contro i mujahidin, mentre
mio padre è morto combattendo quando i talebani hanno preso
Kabul.
Io due anni fa sono fuggito dal mio paese.
Sì, anch’io come H. con tanti problemi ho attraversato e
lavorato in Pakistan, poi in Iran e alla fina sono
finalmente arrivato in Turchia, dove vive la famiglia di mio
zio. Lì ho lavorato nel settore delle calzature per un anno
e con i soldi guadagnati e con l’aiuto di mio zio sono
riuscito a venire in Italia, a Roma, dove ho chiesto l’asilo
politico e dove ho conosciuto H..
A Trento sono arrivato da poco, ho già trovato un lavoro
anche se per ora dormo fuori. Spero di trovare presto un
appartamento in affitto!
|
L'Italia un
posto bello...
Era il febbraio del 2000: il tempo era brutto. Era freddo e
c'era molta neve; il solito inverno in Moldavia.
Ero da sola in casa: da un paio di mesi erano mancati i miei
genitori e lì io mi sentivo molto triste e sola.
E' stato in quel momento che mi è venuta l'idea di cambiare
la mia vita,di andarmene via, lontano.
Ho pensato per un po' di tempo e poi ho deciso di partire
per l'Italia.
Un paese molto bello dove speravo ci fosse
lavoro e dove sapevo cerano persone disponibili ad aiutare.
Tutto è successo abbastanza velocemente: ho avuto la fortuna
di trovare un gruppo sportivo che partiva per l'Italia. Mi
hanno presa assieme a loro come infermiera e massaggiatrice
e così mi hanno dato un passaggio. Ho avvisato i miei
parenti e sono partita.
Sono arrivata con l'aereo a Verona, una bella città,
quella famosa per Romeo e Giulietta.
Ci siamo fermati in albergo ma dopo cinque giornate nostre
strade si sono separate. Loro non potevano più fare niente
per aiutarmi e così io sono partita per Bressanone in cerca
di lavoro. Disperata, con i soldi che stavano per finire e
non conoscendo la lingua italiana, mi sono trovata molto a
disagio. A Bressanone ho incontrato tanta gente disoccupata,
affamata e senza tetto come me.
Dormivo dove capitava: fino a quando ho avuto soldi sono
stata da quelle signore che ti affittano il posto letto per
soldi, quando poi non ne avevo più, ho dovuto dormire
fuori,come altre persone.
Non sapevo cosa fare e dopo aver continuato tutti i giorni
a rivolgermi alla caritas per chiedere aiuto, ho finalmente
trovato una famiglia che aveva bisogno di assistenza
domestica.
La mia gioia, però, non è durata tanto, perché il signore
per quale io lavoravo è morto poco tempo dopo.
Allora sono rimasta di nuovo sola,ho girato per
Bressanone alla ricerca di altro posto di lavoro, ma non ho
trovato niente, non ce la facevo più.
Un giorno, parlando con alcune persone del mio paese di
origine, ho saputo che vicino c'era un'altra città che
si chiamava Trento e ho deciso di andare là.
Quando sono arrivata alla stazione dei treni, ho chiesto ad
una donna che passava se c'era un posto dove potevano
dormire le persone straniere come me e lei mi ha detto di
provare andare alla Casa della Giovane.
Per fortuna ho trovato un posto libero,mi hanno dato da
mangiare e lenzuola pulite per dormire.
Finalmente dopo
tanto freddo, fame e disperazione ho trovato un posto caldo
e amichevole. Adesso che ci penso non l'ho mai detto a loro,
ma sono molto grata per l'appoggio e l'aiuto che ho
ricevuto.
Dopo poco tempo sono riuscita a trovare un posto di
lavoro,la "mia" famiglia italiana mi ha messo in regola con
le carte e ora ho il permesso di soggiorno. Mi trovo
bene con loro anche se, a volte, il lavoro è un po'
pesante,ma non è importante. Quello che è importante è che
la mia vita oggi è cambiata e io sto molto meglio.
Non sono ancora tornata al mio Paese, non è che i miei
datori di lavoro non mi lasciano andare, è che sono un po'
preoccupati e hanno paura che io non ritorno. Ho pensato,
così, di aspettare ancora un po' di tempo fino a quando loro
si sentono più tranquilli e poi anch'io andrò a trovare i
parenti che mi sono rimasti a casa.
|
Il
buratto
H., tunisino, arriva in Italia nel 1991 a 20 anni. Lavora a
Matterello, in una ditta dove fanno serramenti. Lui lavora
alla pulizia dei semilavorati, deve levare le schegge di
alluminio dai pezzi per ottenere il prodotto finito.
Sta 5 o
6 ore al giorno ad una macchina, il buratto, e tutto il
tempo ripete sempre gli stessi movimenti: si gira a destra,
prende il pezzo, si china, lo appoggia nella macchina, si
alza, si gira a destra.
Dopo un paio d’anni comincia a sentire dei dolori. Alla
testa, alla parte destra. Sente come delle pulsazioni molto
forti e un dolore lancinante.
Nonostante tutto continua a lavorare, fa anche degli
straordinari ma scopre che non gli vengono pagati. Si
rivolge alla CGIL. Torna a consultare la CGIL anche per i
suoi problemi di salute. Lo mettono in contatto con un
medico del lavoro. Subisce due provvedimenti disciplinari,
rischia il licenziamento. Viene sempre reintegrato.
Scopre che il padrone dichiara il falso ai medici del
lavoro, cioè che lui passerebbe non più di dieci minuti al
giorno al buratto, invece delle solite sei ore.
Nell’aprile ’95 non ce la fa più, i dolori alla testa sono
troppo intensi, non muove bene la gamba sinistra, tutto quel
lato del corpo è teso in maniera innaturale, sta perdendo
anche la coordinazione del braccio. La sua postura è
sbagliata, perde sei centimetri d’altezza.
Rischia un infortunio sul lavoro: perde il controllo del
braccio, che finisce in una fresa.
La testa gli fa sempre più male. Si fa ricoverare in
ospedale. Prima gli diagnosticano una sinusite e lo
riempiono di medicine. Poi gli dicono senza mezzi termini
che è malato di mente. Un primario lo prende da parte e gli
dice a muso duro che la sua è tutta ipocondria, non ha
niente.
Lo dimettono, dopo poco tempo lo ricoverano ancora. Ha due
infarti.
Nel ’95, dopo il periodo in ospedale, torna per un po’ in
Tunisia, e poi da luglio è di nuovo in Italia. Gira un po’
cercando lavoro e poi si stabilisce in Emilia. Nel ’97 si
rivolge ad un avvocato, che gli consiglia di approfondire il
più possibile la sua situazione clinica. Nel ’98 a Bologna
conosce un chiropratico, americano, che finalmente scopre il
suo problema. Il medico riguarda tutte le vecchie analisi,
comprese le radiografie del ’95, e scopre che già allora
aveva dei problemi al bacino e all’anca sinistra. Capisce
che il dolore alla testa viene da un disturbo al nervo
sciatico sinistro. H. fa anche una visita fisiatrica, e gli
dicono che fino a 20 anni era perfettamente sano. A 20 anni
aveva iniziato a lavorare in Italia.
Nel 2001 lo mettono in carcere. Implicato in un giro di
droga. Lui ovviamente sostiene di essere stato incastrato.
Si prende i suoi due anni, li passa tra Bologna, Modena e
Parma, prende la licenza di terza media. Esce nel 2003.
Ora H. è tornato a Trento. Zoppica ancora leggermente, ha i
muscoli della parte sinistra del corpo molto deboli. Non ha
lavoro, viene ospitato da amici, mangia al Punto d’Incontro.
Vuole riportare a galla i fatti, è convinto di aver subito
un abuso. Dice di avere tutti i documenti e tutte le analisi
cliniche necessarie per far emergere le responsabilità del
suo datore di lavoro.
Fa un po’ la vittima, si crogiola nella sua sfortuna, si
approfitta anche un po’ del buon cuore degli altri. Fa poco
per rimettersi di nuovo in piedi. Ora gli è scaduto il
permesso di soggiorno, e ha un passato poco chiaro.
Non sono
ragioni buone per dimenticarsi che qualcuno si è
approfittato di lui.
|
Per
realizzare un desiderio
Mi chiamo T., sono moldava
ho 23 anni, sono arrivata in
Italia due anni fa e non conoscevo nessuno.
Sono dovuta venir via dal mio paese per aiutare
la mia
famiglia:
mia madre aveva perso lavoro mesi prima e
mio padre lavorava la terra e i soldi non bastavano per
mantenerci tutti.
Ho due fratelli più piccoli che vanno ancora a scuola e
hanno il sogno di diventare due bravi avvocati.
Per poter
realizzare il loro desiderio ho deciso di rinunciare ai miei
e di andare in un paese straniero.
Arrivata in Italia non sapevo proprio cosa fare; le prime
notti ho dormito nel parco della stazione dei treni, dove ho
conosciuto altre donne straniere che mi hanno dato delle
informazioni importanti per andare avanti. Mi hanno portato
in una casa d'accoglienza la Casa della Giovane, dove dopo
pochi giorni ho potuto dormire.
Le operatrici mi hanno aiutato a trovare il mio primo lavoro
in Italia.
Ho lavorato come badante presso una famiglia di Trento per
un anno, poi la signora che assistevo è morta. Per mesi ho
girato da amiche che avevano in affitto degli appartamenti,
poi finiti i pochi soldi che non avevo mandato a casa, mi
sono di nuovo appoggiata alla Casa della Giovane.
Tutti i giorni sono andata a cercare lavoro: negli uffici,
alle associazioni che aiutano gli stranieri e dalle donne
moldave e ucraine che si ritrovano nei parchi della città.
Con un po' di fatica finalmente sono riuscita a trovarlo..
Ora sono 4 mesi che lavoro come baby sitter in una
famiglia, mi trovo bene e sono felice del mio lavoro.
L'unica cosa che mi dispiace è che sono lontana dalla mia
famiglia mi manca il loro affetto, anche se in un certo modo
li sento vicini a me.
So che è difficile, ma devo cercare di resistere più
possibile perché troppe persone in
Moldavia dipendono da me
e dal mio lavoro.
Mio fratello più grande quest'anno si è
iscritto a giurisprudenza.
Con
affetto T.
|
Non mi manca
nulla
Vi voglio presentare una scena semplice ma nella sua
semplicità c'è un bel po' di amarezza e tragicommedia...
Un mercoledì, in una splendida giornata, venni davanti alla
sede del Punto d'Incontro.
C'erano già parecchie persone, piuttosto stranieri, in
attesa dell'ora del pranzo. Io, invece, aspettavo la
partenza per il laboratorio di falegnameria. C'era un
ragazzo, anche lui straniero, con il cellulare sull'orecchio
e parlava in dialetto della sua lingua originale. Io capii
quasi ogni parola perché le nostre lingue sono molto simili.
Il discorso durò circa un quarto d'ora e fu molto personale,
però in un certo punto sono rimasto un po' sorpreso. Anzi,
mi aveva sorpreso tantissimo e subito vi dico il perché in
un' immagine molto abbreviata.
Lui disse:
"Ciao, amicone, come va?"
"Cosa, davvero? Anch'io sto benone. Ora ho la pausa del
pranzo e poi torno al lavoro."
"Cosa? Sto dicendo che vado a mangiare."
"In un ristorante."
"Si, sto bene, non mi manca niente. Buon lavoro, buoni
soldi, dormo in un albergo, mangio nei ristoranti ...
non mi
manca nulla!" disse con un tono di voce da figo, mentre un
solo sguardo a lui diceva di tutto. Dei jeans strappati e le
scarpe cinque minuti prima di buttare via ...
"No, mi dispiace. Il mio capo dice che non assume nessuno
al momento, ma forse ci sarebbe qualcosa il prossimo mese.
Scusa, ora devo proprio andare. Stammi bene e saluta tutti
quanti. Ciao!"
"Ciao!" dopo di che entrò nella mensa del Punto
d'Incontro.
Dopo il pranzo si spostò nella sala d'accoglienza del Punto
e lì passò il resto del giorno. Se avesse avuto qualche
soldo, probabilmente sarebbe già stato ubriaco. Dopo la
giornata passata qui, andò a dormire in una delle baracche
abbandonate dalla parte opposta dell'Adige. Il seguente
mattino c'era di nuovo davanti al Punto per farsi la doccia
e per avere almeno qualcosa per la colazione, come sempre,
in attesa di un miracolo o di un lavoro occasionale.
Io credevo di conoscerlo abbastanza bene, ma non riesco a
capire perché vuole fare la vita per strada e, sia per gli
altri sia per se stesso, creare una mistificazione, una
bugia. Non riesco a capire perché questa sua maschera.
Forse
ha vergogna davanti alla verità? Non so, sarà più probabile
che non è ancora pronto e maturo per affrontare la vita nel
modo migliore di quello attuale.
E voi?
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Camminavo
Camminavo sporco
sopra le derive di luci
la notte era una pioggia d'ululati
che salivano dalle strade stanche
invecchiate dagli spari e
da verginità perdute.
Camminavo sporco
e avevo ancora il coraggio

di chiedere scusa
coi gesti degli esclusi
mentre il beccamorto
ci prendeva le misure
fino a tardi.
Eppure l'Istat giù a Roma
giocando coi morti
ci avvisa che la vita
si è allungata.
Camminavo sporco
ricopiando a memoria
la mia sigaretta
e la giornata appena passata
a fermentare nei bar
o come il pane vuoto dei poveri
davanti alle banche dove
la matematica non ha opinione.
Camminavo sporco
e la tua bellezza
mi urlava ancora negli occhi
mi spalancavi le tue mani
e io ti entravo dentro....
mentre una radio in sordina
puntigliosa ci avvisava
che i marines erano
entrati a Baghdad.
Camminavo sporco
con la mente tuonante
del mio essere niente
e la città era un altro
miracolo mancato
un atto di dolore detto
con la pancia piena.
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Cosa si dice
Quando
Lui parlava gli altri dissero che le Sue parole erano insensate di
conseguenza Lui si limitò ad esternare i Suoi pensieri gridando
nei momenti in cui era solo!
Quando
amava, gli altri dissero che il Suo Amore non era corrisposto, fu
a quel punto che iniziò a fingere.
Quando
iniziò a bucarsi, tutti si stupirono e gli diedero tanti troppi
consigli.
Lui li
mise in atto in parte e ne uscì egregiamente, a quel punto tutti
lo lodarono ma per Lui era “indifferente”.
Quando
qualche tempo dopo iniziò a bere, gli altri gli diedero dei
consigli, ma per Lui erano frasi al “Vento”.
Quando
un anno dopo Lui “MORI’ ” gli altri con un pizzico di disagio,
buttarono il loro disagio assieme ad un mazzo di fiori nella Sua
tomba!
CIAO SANDRO
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Io solo
Così, questa sera
Il cielo bianco
Tetti e poggioli
Non ho paura
Striscioni di nebbia
Come milioni di
candele
Quassù, a mezzanotte
Ci sono io, solo
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La notte
Penso a quante volte ho passato la
notte all’aperto, d’estate ed inverno, per circa venti anni.
Eppure il ricordo e le difficoltà di questa esperienza mi sono
state fondamentali per trovare la pace dell’anima, la tranquillità
anche al buio, la pace della solitudine, le stelle, il primo bar
che apre, il dire “anche per sta’ no ghe l’ho fatta”.
Il
canto degli uccelli ti dà la sveglia, ti alzi volentieri. Ti senti
libero, ancora con la voglia di vivere, di esser te stesso
malgrado tutto, di ricominciare.
Penso anche a chi, non avendo salute, deve o subisce certe fredde
notti che non finiscono, o non finiranno
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Sirio
Di notte, quando calano le tenebre
NOI, o per scelta o per questioni
obbligatorie
Ci ritroviamo in mezzo ad una strada…
L’ennesima notte sotto le stelle.
A me la più cara è Sirio,
ogni qualvolta che mi sveglio
lei mi sorride.
Sarà anche una “triste” vita ma
C’è chi ha fatto questa scelta.
Ad ogni modo devo ricredermi,
perché non è vita, è un lento
spegnersi
e il Signore di vita ce ne ha
concessa una sola.
Perciò voi che leggerete codeste
frasi
Pensateci
Perché la notte è buia piena di
insidie
Che alle volte con l’illusione possa
sembrare
Anche affascinante
Però non lo è!
Pensateci
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Strada
Strada crocevia di storie nate già malate.
Crocifissione lenta
per ladri, barboni, puttane
e non solo ...
Eppure guardiamo ancora avanti
mentre i denti si fanno aguzzi
ogni tanto ci voltiamo indietro
caso mai avessimo mancato
di veder passare la redenzione.
Ma forse siamo già tutti ciechi
sulla via di Damasco
dove stiamo perdendo
gli ultimi anticorpi
cercando quella giustizia
ormai persa
nei fazzoletti da naso
dei potenti
il pane che ci hanno negato
lo sconteranno alla resurrezione.
Se è vero che siamo
anche acqua e così è
la memoria ci cadrà
nei torrenti e nei fiumi inquinati
si confonderà fra la schiuma
dei detersivi
ma in ogni goccia d'acqua
ci sarà tutto l'amore che non ricordiamo
quello offerto invano
o quello ricevuto senza saperlo.
I miei occhi si dilatano nella sera
lei in minigonna si lascia innaffiare
dal solito lampione
un altro ondeggia in un cappotto
troppo grande e il cartone di vino
in mano
mentre io me ne vado verso la notte
senza un rosario da poter strappare.
E voi avete speso l'ultimo coraggio al supermercato
sprecato soldi in campanili che non suonano
poi tornate a casa a guardare il conflitto
d'interessi in televisione.
A noi ... lasciate un conflitto minore ...
un pugno ben piantato in mezzo ai denti
come questa notte senza stelle senza casa
è come se il verbo essere perdesse l'infinito ...
Ed io sono solo un osso seppellito
da un cane randagio senza memoria
ma se un giorno scaveranno troveranno:
il pane duro degli operai
il vento delle parole taciute
e milioni di nomi in lingue sconosciute.
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