Introduzione al Vangelo di Giovanni
Gim 2 Padova, 2009-2010
Gim2 Padova, 2009-2010
IL VANGELO DI GIOVANNI
Il vangelo di Giovanni è chiamato “quarto vangelo” perché nella Bibbia occupa il quarto posto. È diverso dai primi tre, che, per il fatto di essere molto simili tra loro, sono chiamati “sinottici”.
Per molto tempo, il vangelo di Giovanni fu quasi ignorato perché considerato spiritualista e poco legato alla realtà e alla storia. Ultimamente ne è stato riscoperto il valore e la forza trasformatrice per l'attuale momento storico.
Come succede per la maggior parte dei libri della Bibbia, non sappiamo esattamente chi ha scritto questo vangelo; dietro a qualsiasi libro biblico c'è sempre una comunità di fede. Nella conclusione del quarto vangelo leggiamo: “è questo il discepolo che rende testimonianza su quei fatti e li ha scritti e noi sappiamo che la sua testimonianza è vera” (Gv 21,24).
La stesura del Vangelo è dunque attribuita a un discepolo anonimo, conosciuto come il “discepolo che Gesù amava”.
Troviamo nel vangelo quattro riferimenti a questo discepolo:
- nell'ultima cena (Gv 13,23-26)
- ai piedi della croce, accanto alla madre di Gesù ( Gv 19,26-27)
- nel racconto della risurrezione, il discepolo amato, avvisato da Maria Maddalena, corre con Pietro al sepolcro di Gesù: “vide e credette” (Gv 20,2-10)
- sul lago di Galilea, riconosce il Signore risuscitato (Gv 21,7.20-24).
Il redattore, altre due volte cita un discepolo anonimo (Gv 1,35; 18,15).
Chi è questo discepolo amato?
Fin dal III secolo la tradizione della Chiesa riconosce che Giovanni è l'autore del quarto vangelo. Ireneo di Lione, discepolo di Policarpo di Smirne, attesta: “Giovanni, il discepolo del Signore, quello che ha reclinato il capo sul suo petto, ha scritto il vangelo durante la sua permanenza a Efeso”.
Ricerche più recenti mettono in dubbio questo dato che sembrava acquisito. Appare infatti molto strano che il leader della comunità fosse uno dei dodici apostoli, visto che nel vangelo i Dodici poche volte appaiono ed in situazioni poco decisive per la sua redazione.
Lazzaro, Marta e Maria, che rappresentano la comunità di Betania, nel vangelo di Giovanni sono presentate come persone amiche, che Gesù amava. Questo dato rafforza l'attuale tendenza di non considerare il Discepolo Amato come una personalità storica individuale, ma collettiva; in questo caso, il vangelo avrebbe avuto origine dalla comunità di Giovanni.
Un'ipotesi molto probabile oggi è che la redazione di questo vangelo, attribuita all'apostolo Giovanni, abbia la sua origine in una “scuola” o “comunità” giovannea.
Queste considerazioni ci portano concludere che questo vangelo non è stato scritto in una sola volta, né da un'unica persona, ma è il risultato di un lungo processo redazionale, frutto della rilettura fatta dalla comunità in situazioni nuove.
Ciò spiega perché siano state conservate le due conclusioni del Vangelo: Gv 20,30-31; e 21,24-25.
Perché fu scritto questo vangelo?
Nella prima conclusione viene presentato in maniera chiara l'obiettivo del Vangelo: “Molto altri segni ancora fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono ancora stati scritti n questo libro. Questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome” (Gv 20,30-31)
Il vangelo è stato scritto per raccontare alcuni SEGNI realizzati da Gesù, che sono diventati importanti nella storia della comunità, per portare la comunità stessa,, e i lettori, a credere in Gesù Cristo e, in suo nome, entrare nella VITA. Lo scopo dunque, è coniugare FEDE e VITA, partendo da SEGNI concreti.
È importante ricordare inoltre che l'annuncio della Buona Notizia, narrata sotto forma di vangelo, nacque nella comunità giovannea come memoria di Gesù per opera dello Spirito/Paraclito (cfr. Gv 14,26). fu scritto come una forma di resistenza, soprattutto in due situazioni decisive nella vita di quella comunità:
- contro gli attacchi venuti dall'esterno, soprattutto dalla Sinagoga giudaica, dallo Gnosticismo e dall'impero romano
- per incoraggiare la comunità che si va disgregando al suo interno e rischia di perdere la sua identità.
La comunità Giovannea
La comunità giovannea inizia la sua vita comunitaria nella Palestina; diverse circostanze, però, la portano ad emigrare verso altri luoghi. La guerra contro i giudei, verso l'anno 66, provoca la dispersione di numerose comunità cristiane. Molti sono dell'opinione che la comunità di Giovanni sia emigrata prima verso la Siria e, dopo la distruzione di Gerusalemme, a Efeso, come conferma anche della testimonianza di Ireneo e di altri padri della Chiesa.
Già in Palestina, alcuni membri della comunità cominciano a raccogliere e a organizzare il materiale sotto forma di racconto orale e frammenti scritti riguardati Gesù di Nazareth. Questa raccolta di parole di Gesù, integrata nell'esperienza di fede della comunità formerà, poco a poco, il testo scritto del quarto vangelo. La redazione termina verso la fine del primo secolo, a Efeso.
Facendo un esame di questo vangelo, vi scopriamo i tratti di una comunità molto simile alle nostre di oggi. È formata da vari gruppi culturali ed è perciò naturale che ci sia anche una grande mescolanza culturale di tradizioni religiose.
Ancora nel primo capitolo, Gesù è cercato dai discepoli di Giovanni il Battista, che sono invitati a rimanere con lui (Gv 1,35ss). Nel capitolo 4 un altro gruppo, quello dei samaritani, considerati impuri ed emarginati dai giudei, si unisce a Gesù dopo la testimonianza della donna samaritana ed il contatto diretto con la parola di Gesù. Poco più avanti troviamo gli ellenisti (Gv 7,35; 12,20), che entrano a far parte della comunità dei seguaci di Gesù.
Ma il nucleo della comunità giovannea è costituito da giudei espulsi dalla sinagoga per aver accettato la persona e la proposta di Gesù, acquisendo così una nuova visione della realtà.
Confessavano che Gesù era il Messia, il figlio di Dio, il profeta che doveva venire come salvatore. Ciò rappresentava una minaccia per la élite giudaica, per cui decisero di cacciarli dalla sinagoga.
Come tutte le comunità cristiane dei primi secoli anche la comunità giovannea, che vive sotto la dominazione e persecuzione dell'impero romano (cfr. Gv 11,48), deve affrontare due momenti di crisi e di minaccia di disgregazione: l'espulsione dalla sinagoga, intesa a quel tempo come sistema culturale socio-religioso, e la scissione interna a causa dello scandalo della cristologia dell'incarnazione (cfr. Gv 6,66). Questi due fatti lasciarono segni indelebili nella redazione del vangelo: da una parte, la comunità si difende dalla minacce esterne, dall'altra viene sfidata a recuperare la sua identità minacciata.
La comunità deve difendersi anche dalle correnti religiose (“gnosticismo” e “docetismo”) che allontanano dalla pratica cristiana originaria, proposta e vissuta da Gesù di Nazareth.
La dottrina gnostica affermava che la persona umana si salva grazie ad una conoscenza religiosa speciale, segreta e individuale. Gli gnostici si consideravano illuminati e liberi dal peccato e dalle tentazioni del mondo. Non davano alcuna importanza alla prassi comunitaria dell'amore per il prossimo.
Il docetismo negava l'incarnazione del figlio di Dio e affermava la dottrina dell'apparente umanità di Gesù. Era per loro uno scandalo ammettere che Dio avesse assunto la nostra condizione umana.
La comunità giovannea ha, quindi, queste caratteristiche:
- comunità di periferia, senza potere, emarginata ed esclusa dal sistema. Il cieco dalla nascita, come rappresentante della comunità, è escluso dalla sinagoga (Gv 9). Il vangelo dimostra che i samaritani, emarginati dal giudaismo ufficiale, sono accolti da Gesù con attenzione ed affetto (Gv 4,1-42)
- comunità di resistenza, perseguitata e minoritaria: questo spiega la significativa leadership delle donne nella comunità di Giovanni. In tutta la tradizione biblica, come del resto oggi, le donne sono il simbolo della resistenza nei momenti difficili di sopravvivenza della comunità (Gv 2,1-11; 4,1-42; 11,1-44; 12.1-11; 16,20-22; 19,25-27; 20,11-18)
- comunità che si organizza sotto la guida del Discepolo Amato. Il Discepolo Amato è una figura storica anonima che quasi sempre si mostra fianco di Pietro, il grande leader della Chiesa Apostolica, con un ruolo complementare e superiore (cfr. Gv 13,23-26; 19,26-27; 20,1-10; 21,7.20-24).
Struttura del quarto vangelo
Riassumiamo in questo modo la struttura del libro di Giovanni:
Prologo: il disegno creatore (1,1-18) | Espone sinteticamente il contenuto e la realizzazione del disegno creatore |
Sezione introduttiva: Da Giovanni a Gesù (1,19-51) | |
Prima parte: il GIORNO SESTO. L'opera del Messia (2,1-19,42) | Dall'annuncio dell'ora di Gesù (Cana, assaggio del suo vino), al momento supremo della sua ora (sulla croce, da il suo Spirito); vino//Spirito Scena di un matrimonio, I |
A. Il giorno del Messia (2,1-11,54) | Giorno della manifestazione di Gesù a Israele, annunciata da Giovanni Battista
|
| Da Cana a Cana: varie risposte al ministero di Gesù nelle varie parti della Palestina |
| Rifiutato dall'istituzione giudaica, Gesù prescinde da essa per dedicarsi alla liberazione del popolo, offrendogli un'alternativa al di fuori dell'istituzione |
B. L'ora finale: la Pasqua del Messia (11,55-12,50) | Scena di un “matrimonio”, II |
| Le due opzioni di Israele di fronte alla manifestazione della luce/vita: (+) i discepoli, 12,1-8, la comunità celebra la Vita (-) il popolo (12,12-43) |
| cc. 13-14: la nuova comunità, fondazione (lavanda dei piedi, comandamento dell'amore, carta di fondazione della comunità) e cammino (la pratica dell'amore come itinerario della comunità. Gesù invita ad uscire: c'è un esodo da continuare, la meta è il Padre) cc.15-16: la nuova comunità in mezzo al mondo c. 17: la preghiera di Gesù per la comunità presente (17,6-19) e per la comunità futura (17,20-23) |
| Consegna, morte e sepoltura di Gesù. La manifestazione della Gloria (dal GIARDINO degli Ulivi al GIARDINO del sepolcro) |
Seconda parte: Il primo giorno. La nuova creazione (20,1-31) | Gesù crea la nuova comunità con il dono dello Spirito |
Epilogo: la missione della comunità e Gesù (21,1-25) |
Ci sono un sacco di altre divisioni: manteniamo questa perché ci aiuta ad approfondire il contenuto teologico del vangelo di Gv.
Piano teologico del Vangelo di GV.
Il piano che struttura il vangelo di Gv non è storico ma è teologico. Non quindi una biografia, né un riassunto della vita di Gesù, ma una INTERPRETAZIONE della sua parola e opera, data da una comunità attraverso la sua esperienza di fede.
La coerenza di Gv non va ricercata nella precisione storica quindi, ma nell'unità tematica, in relazione al suo piano teologico.
Le linee portanti della teologia di GV sono due:
1. La CREAZIONE:
- la successione cronologica all'inizio del Vangelo, 6 giorni
- l'inizio dell'opera di Gesù è il 6° giorno, quello della creazione dell'uomo: lui porta a compimento la creazione, con il dono dello spirito
- la parte finale del vangelo completa la creazione situandosi nel primo giorno, quindi l'OTTAVO (=pienezza, definitività); 19,41: l'orto/giardino è in parallelo con la prima coppia
- i temi della VITA, della LUCE/TENEBRE, della NASCITA sono legati alla creazione,
- 9,1ss: Gesù guarisce il cieco, mettendolo in condizione di vedere (luce)
2. La PASQUA/ALLEANZA, l'ESODO:
- presenza della Gloria nella tenda dell'incontro (1,14; 2,19-21)
- l'agnello (1,29; 19,36)
- la legge (3,1)
- la traversata del mare (6,1)
- il monte (6,3)
- la manna (6,31)
- il cammino, la sequela di Gesù (8,12)
- passaggio dalla morte alla vita (5,24)
- passaggio del Giordano
- Messia, come secondo Mosè
- 6 feste, di cui tre di pasqua (la I, la III e la VI)
- Gesù guarisce un paralitico (5,1ss) mettendolo nelle condizioni di camminare (Esodo)
Gv unisce le due tematiche facendo sintesi:
Gesù è Messia in quanto è:
- da un lato, il progetto di Dio realizzato, l'UOMO (9,35-37)
- dall'altro, la Parola di Dio creatrice ed efficace.
Gv demitizza l'idea di Messia futuro (cf. 7,27) e concentra l'aspettativa, che vede realizzata in Gesù, nella figura dell'Uomo compiuto.
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Il vangelo del caso serio della fede
(C. M. Martini)
“Mi è venuta in mente, riflettendo a lungo sul nostro testo [Gv], una terza chiave di lettura, quella che lo mostra come il Vangelo del caso serio della fede, il vangelo che ha lo scopo di farci prendere una posizione chiara di fronte al Verbo fatto carne. Basta ricordare Gv 20,30-31: “Molti altri segni fece Gesù in presenza dei suoi discepoli, ma non sono stati scritti in questo libro. Questi sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome”.
Gv intende riferirsi a una fede piena, compiuta, non embrionale o iniziale. Intende una fede forte, dura, esigente, quella di cui parla Gesù quando a Tommaso che esclama: “Mio Signore e mio Dio”, risponde: “Perché hai veduto hai creduto; beati coloro che pur non avendo visto crederanno!” (Gv 20,28-29). Una fede molto matura che sa fare a meno dei segni tangibili, che pone il credente unicamente e ciecamente nelle mani di Dio vivo.
Nella sinagoga di Cafarnao la folla chiede a Gesù: “Che cosa dobbiamo fare per compiere le opere di Dio?”, e si sente rispondere: “Questa è l'opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (6,28-29). E' la risposta per il cristiano maturo, mentre al cristiano che è ancora all'inizio del cammino è diretta la risposta data al giovane ricco: “Se vuoi entrare nella vita eterna, osserva i comandamenti” (Mt 19,17).
Il vangelo giovanneo tralascia tutto il resto per concentrarsi su due punti essenziali: CREDERE e AMARE. Tale concentrazione è tipica della comunità cristiana nella quale è scritto il testo, una comunità piccola, marginale rispetto alla cultura dominante del tempo, cultura idolatra, scettica, cinica e che inglobava tutto. Questa piccola comunità, trovandosi in minoranza, si sente spinta all'essenziale: che cosa significa credere e amare? [ … ]
Questa concentrazione sul credere mi impressiona in modo particolare e, al riguardo, mi chiedo come mai Gv parla spesso del credere, ma non della fede, a differenza di san Paolo e degli altri testi del NT. Perché usa l'espressione “credere”, e mai “fede” (pistis)?
Probabilmente perché, facendone un caso serio, preferisce al teorizzare la fede, suggerire i sentieri, le luci, le fatiche, la gradualità del credere.
Quali dunque i sentieri, le tappe i gradi di un credere autentico, maturo, pieno?
Lo capiremo nell'episodio di Nicodemo, nell'incontro con la Samaritana. In Gv 4,48, là dove si parla del secondo segno di Gesù a Cana, di fronte alla domanda del funzionario del re che chiede a Gesù di recarsi da lui e di guarire suo figlio, la risposta è fortissima: “Se non vedete segni e prodigi, voi non credete”. Non è necessariamente un rimprovero e, in effetti, questa domanda potrebbe essere tradotta con un'altra domanda. Ti fidi? Sei capace di credere al punto da superare i segni e le verifiche tangibili, affidandoti a me e alla mia parola? Molta gente oggi è in ricerca spasmodica di segni della fede: pensiamo al moltiplicarsi dei pellegrinaggi in luoghi in cui avvengono apparizioni, lacrimazioni, visioni, ecc. Chi cerca segni è all'inizio della fede. Gesù stesso ha operato miracoli sapendo che la gente vuole vedere, toccare, sentire.
Tuttavia il IV vangelo ci invita ad andare oltre, ci pone il caso serio della fede nella sua nudità e semplicità, e vogliamo tenere presente nelle nostre meditazioni questa chiave di lettura.