1Gv1,1-4; Gv1,1-18: Tocca la Parola di Vita!
Gim2 Padova, ottobre 2009
GIM2 Padova, 11 ottobre 2009
TOCCA LA PAROLA DI VITA!
(1 Gv 1,1-4; Gv 1,1-18)
1Gv 1,1-4: La parola della vita manifestata in carne
Gv 1,1-18: Prologo di Gv, inno all'ottimismo di Dio sull'umanità
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Il prologo di Gv è un inno all’ottimismo di Dio sull’umanità, un inno dell’amore che Dio ha per noi.
Il più antico commento che abbiamo a questo passo è della stessa scuola di Giovanni; la prima lettera incomincia con le stesse espressioni del teologo e prosegue dicendo: "Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta" (1 Gv 1,4). Troviamo già qui un particolare: la trasmissione di questo prologo, la trasmissione del Vangelo, la trasmissione dell’esperienza di fede della comunità, non viene effettuata come ci saremmo aspettati. Giovanni non dice: "perché la vostra gioia sia perfetta", ma dice: "Queste cose vi scriviamo, perché la nostra gioia sia perfetta"; la gioia della comunità dei credenti consiste nel trasmettere questo messaggio, un messaggio che, a sua volta, per chi lo accoglie e chi lo vive, provocherà gioia. C’è già una gioia nella trasmissione di questo messaggio, perché, scrive Giovanni nella prima lettera, "ciò che era fin da principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato, ossia il Verbo della vita (poiché la vita si è fatta visibile, noi l’abbiamo veduta e di ciò rendiamo testimonianza e vi annunziamo la vita eterna, che era presso il Padre e si è resa visibile a noi), quello che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo a voi" (1 Gv 1,1-3).
Qui vi è una comunità che accresce la propria gioia trasmettendo la propria esperienza; questo in linea con l’insegnamento di Gesù dove "vi è più gioia nel dare che nel ricevere" (At 20,35).
- "In principio ...". Giovanni si riallaccia - vedremo che è un testo molto forte e con venature polemiche - con l’espressione: "In principio" (en archè), che è esattamente la prima parola con la quale inizia il primo libro della Bibbia, dove si narra il fatto della creazione e comincia con queste parole: "In principio Dio creò il cielo e la terra" (Gen 1,1). L’autore di questo Vangelo non è d’accordo con questa teologia e smonta tutto il bagaglio teologico della creazione che si era radicato nei secoli in Israele. Dice Giovanni che in principio, prima ancora che Dio pensasse e creasse il cielo e la terra, c’era qualcos’altro.
Giovanni si mette sulla linea della creazione, che sarà la chiave di lettura per comprendere tutto il suo Vangelo. Giovanni ci presenta qual è la vera creazione per l’uomo, che non è quella che gli autori sacri hanno raccontato nel libro della Genesi: quella è soltanto un’espressione imperfetta della volontà di Dio. La vera creazione che Gesù ci viene a comunicare inizierà e continuerà con queste parole del Vangelo di Giovanni.
- “... era il Verbo”. Quindi, scrive Giovanni, "In principio" - che vuol dire prima dell’inizio della creazione - esisteva già… cosa? Qui Gv usa un termine che veramente non è facile tradurre: in greco è "logos", che ha un’incredibile varietà di significati. La CEI traduce con "verbo", ed è una traduzione esatta; però, francamente non ci dice niente che "in principio ci fosse il verbo". "Logos" è un termine che da una parte significa "progetto" e da un’altra, in quanto progetto formulato, significa "parola".
Giovanni, in questo prologo, dice che fin dall’inizio, prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva un progetto. Potremmo tradurre, in maniera molto comprensibile: "Prima ancora di creare il mondo, Dio aveva un’idea". L’evangelista ci presenta, anche se così non si può dire perché Dio non ha la testa, un’idea che era fissa nella testa di Dio. Prima ancora della creazione del mondo, Dio aveva un’idea, un progetto.
Ma perché Giovanni ha usato proprio il termine "logos" per esprimere questo concetto? Il Talmud (legge orale degli ebrei per interpretare la Torah, poi messa per iscritto) dice che il mondo fu creato per le “dieci parole”. Quando a Mosè furono dati i comandamenti (Es 31,18), Jahvè scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza: appunto, le dieci parole ("dieci" in greco si dice: "deca" e "parole" si dice "logos", da cui deriva: "decalogo", cioè i dieci comandamenti). La teologia ebraica diceva che tutta la creazione avvenne per i dieci comandamenti: quindi, nell’osservanza dei dieci comandamenti dati da Dio a Mosè si realizza la creazione.
Giovanni non è d’accordo; per questo dice: fin dall’inizio, prima di creare il mondo, prima della creazione, c’era una parola che annulla le altre dieci parole, perché di valore incommensurabile. Un’unica parola al posto delle dieci parole, una parola che si esprime in un unico comandamento. I dieci comandamenti, dati da Dio, annullati in un attimo; il mondo non è stato creato in vista dei dieci comandamenti, ma in vista di una parola che si esprime in un unico comandamento!
Lo vedremo, sarà il comandamento dell'amore (Gv 13), di cui possiamo fin da ora cogliere un particolare: nell’unico comandamento che Gesù lascia alla sua comunità, nel comandamento che costituisce una religione, una fede, Dio non viene nominato! E questo comandamento lo esprime così: "Vi do un comandamento nuovo: come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri". Non chiede l’amore per Dio, ma chiede un amore da trasmettere e scambiare tra gli uomini, uguale a quello che Lui ci ha dimostrato. E l’amore di Gesù, l’amore che ci dimostra, è un amore che non si lascia condizionare dagli atteggiamenti e dalle risposte dell’uomo. È quello che poi Giovanni chiamerà l’ "amore fedele". Allora Gesù esclude, dall’unico comandamento che lascia, l’amore per Dio – perché l’amore per Dio può essere frutto di illusione - e mette invece un amore pratico. "Trasmettete fra di voi un amore uguale a quello che io ho per voi": questa è l’unica prova che amate Dio.
Lo dirà poi Giovanni nella sua prima lettera. Il primo versetto comincia così: "Fin dall’inizio, prima ancora di creare il mondo, Dio aveva un progetto". Un progetto che si esprime con un’unica parola ed è il progetto della realizzazione di questo amore, di un amore di una qualità nuova che, venendo da Dio, annienterà tutto ciò che vi era prima. Potremo fare il raffronto tra i comandamenti di Mosè e quest’unico comandamento che li separa e quindi li annulla. La comunità dei credenti, già da questo primo versetto, si vede libera, liberata da questa legge, da queste imposizioni, da queste minacce che poi c’erano: perché se osserviamo questi comandamenti, c’erano delle sanzioni tremende. In contrapposizione la proposta di Gesù è: accogliete questo mio amore e trasmettetelo gli uni agli altri. E Giovanni sottolinea che questo pensiero era sempre fisso nella testa di Dio.
- "Questo progetto si dirigeva a Dio". Con questa sottolineatura, Giovanni ci vuol far comprendere che questo progetto, che come vedremo sarà di un’ampiezza che ci farà ubriacare di contentezza, era sempre nella testa di Dio, cioè era qualcosa che stava molto a cuore a Dio. Ed ecco la rivelazione fantastica che fa Giovanni: "e un Dio era questo progetto". Viene tradotto normalmente: "e il verbo era Dio". Potremmo tradurre anche con "la parola era un Dio", ma è più facile da comprendere: "e un Dio era questo progetto". Il progetto di Dio sull’umanità, sull’uomo, è qualcosa di incredibile e, purtroppo, credo che la nostra tragedia di credenti sia che non l’abbiamo conosciuto; o se lo abbiamo conosciuto, non lo abbiamo capito. Giovanni ci presenta un Dio talmente innamorato dell’umanità, che non gli basta aver creato l’uomo in carne e ossa, ma lo vuole innalzare alla sua stessa condizione divina; "un Dio era questo progetto"!
Il progetto di Dio sull’umanità è che l’umanità, quindi l’uomo/donna, raggiunga la pienezza della condizione divina. Nel Genesi viene proclamato il grave castigo inflitto ai nostri progenitori, perché avevano avuto il desiderio di diventare uguali a Dio, ed erano stati colpiti in una maniera tremenda. Giovanni dice che non è vero, perché questo desiderio di raggiungere la condizione divina è insito nell’uomo; Dio glielo ha messo, perché quando ha creato il mondo lo ha creato perché voleva che l’uomo raggiungesse la sua stessa condizione divina. Ogni ideale che sia al di sotto di questo progetto mutila il progetto di Dio sull’umanità.
E qui si può comprendere quanto sia lontano l’ottimismo di Dio sull’umanità, dal pessimismo che impernia quasi tutta la Sacra Scrittura. Ci sono dei luoghi molto belli nella Sacra Scrittura dove specialmente i profeti si riallacciano al Dio creatore e sono pieni di ottimismo verso l’umanità, ma ci sono altri testi dovuti alle scuole religiose - e parleremo spesso delle persone religiose, delle persone pie - che esprimono un totale pessimismo di Dio sull’umanità.
Valga per tutti il Salmo 14, che dice così: "Jahvè dal cielo si china sugli uomini per vedere se esista un saggio:" - quindi, l’immagine di Dio che, dal cielo, guarda all’umanità e cerca un saggio - "se c’è uno che cerchi Dio. Tutti hanno traviato, sono tutti corrotti; più nessuno fa il bene, neppure uno" (Sal 14,2-3).
Ecco il pessimismo della religione nei confronti dell’uomo. Una religione che proietta in Dio i suoi stessi perversi sentimenti.
Giovanni, invece, prende le distanze: macché pessimismo, Dio è ottimista dell’uomo. Non che Dio non veda ... è chiaro che Dio vede l’uomo com’è, con i suoi limiti e i suoi difetti -, ma Lui ha un progetto, e nonostante le infedeltà e i tradimenti dell’uomo, questo progetto riuscirà a portarlo a termine.
Qual è il progetto? Innalzare l’uomo alla sua stessa condizione, concedere all’uomo la condizione divina, infondendogli una vita che essendo quella di Dio sarà indistruttibile e che nemmeno la morte sarà capace di superare.
Questo progetto di Dio, il progetto che Gesù annunziava al suo popolo, da parte dei rappresentanti di Dio, da parte della gerarchia e delle autorità religiose che ne detenevano il potere e che facevano da tramite fra Dio e il popolo per far conoscere allo stesso la volontà di Dio, verrà considerata una bestemmia talmente grave da essere punibile con la morte (Gv 5,18; 10,33).
Ma è Dio stesso – senza intermediari! - che prende l’iniziativa, avvolge nel suo amore ogni uomo dicendogli: "lasciati amare" e grazie a questo amore - e non attraverso l’osservanza delle leggi - lo innalza al suo stesso livello e gli dà la condizione divina. Questo è panico per il potere religioso! Infatti, sempre nel Vangelo di Giovanni, quando si riunisce tutta la gerarchia religiosa dice: "Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e per noi è la fine!" (Gv 11,48). Quindi è bene che la gente rimanga nell’ignoranza: e se c’è qualcuno che annuncia questo messaggio, vada messo a morte! Quindi, quando Dio si manifesta e si presenta nella persona di Gesù, i suoi rappresentanti - la gerarchia religiosa - considera il progetto di Dio una bestemmia che va punita con la morte.
- "Tutto, a causa di/attraverso questo progetto/parola, cominciò ad esistere e senza di questo non cominciò ad esistere cosa alcuna di quel che esiste". Vedete quanto sia ripetitivo, ma è proprio perché l’evangelista ci vuol far comprendere chiaramente quello che sta dicendo. L’evangelista, che presenta il fatto della creazione, vuole sottolineare due aspetti.
- Come prima cosa, tutto quello che è stato creato, è stato creato in funzione di questo progetto: Dio la creazione l’ha fatta affinché l’uomo, attraverso essa, raggiungesse la condizione divina. Tutto, sottolinea, tutto è stato fatto per questo.
- E, d’altra parte, non esiste nulla nella creazione che non sia frutto di questa volontà divina. Giovanni rappacifica l’uomo con la creazione. La creazione non è una rivale con cui competere, ma è un’alleata con cui collaborare per realizzare questo progetto. Ci dirà, poi, Paolo che "la creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio" (Rm 8,19).
E soprattutto, Giovanni, corregge la concezione del Genesi: non c’è un paradiso irrimediabilmente perduto a cui pensare con nostalgia, ma un paradiso da costruire. Il racconto del Genesi non è un racconto di una realtà - quella del paradiso - irrimediabilmente perduta, ma una profezia di quello che c’è da costruire. Questa è la volontà di Dio, perché tutto è stato creato per realizzare questo progetto.
E visto che la creazione, secondo Giovanni, non è completata, si comprende perché Gesù obietta a questa concezione, quando viene rimproverato per non aver osservato il sabato. Il libro del Genesi diceva: "Dio, nel settimo giorno, portò a termine il lavoro che aveva fatto e cessò nel settimo giorno da ogni suo lavoro" (Gen 2,2). Era fuori discussione che Dio avesse terminato la creazione, detto tutto quello che aveva da dire, fatto tutto quello che doveva fare: e per l’uomo c’era soltanto l’osservanza della legge.
Gesù non è d’accordo: la creazione non è terminata! Perché? Perché l’uomo non ha raggiunto la pienezza della condizione divina. Finché ogni uomo non avrà avuto la possibilità di raggiungere la pienezza della condizione divina - e per far questo ci vuole pienezza di libertà e di serenità -, la creazione non è terminata ed esige la collaborazione di tutti noi. Quindi la creazione non come un rivale, ma un alleato con cui realizzare questo progetto di Dio.
Nella teologia di Giovanni, che poi riprenderà Paolo, questa affermazione della creazione incompleta porta ad un’altra considerazione: fintanto che ogni uomo non avrà la possibilità di diventare figlio di Dio, di raggiungere la condizione divina, Dio stesso è incompleto. I Vangeli, il Nuovo Testamento ci presentano un Dio che non è ancora completo. Lo dirà Paolo nella prima lettera ai Corinzi: "soltanto quando l’uomo avrà raggiunto la pienezza e ogni uomo avrà risposto a Dio, solo allora Dio sarà tutto in tutti" (cfr. 1 Cor 15,20-28). Quindi, vedete di quale responsabilità immensa ci carica l’evangelista: Dio non si è manifestato ancora completamente, non si manifesterà completamente, fintanto che ogni uomo non avrà la possibilità di rispondere al progetto che Egli ci propone. Per questo, nei Vangeli si parla dell’affanno di Dio per il singolo; ricordate la parabola delle cento pecore? Ne manca una e Gesù va in cerca, perché fintanto che tutti quanti non fanno parte di questo gregge d’amore, il pastore non è contento (Mt 18,12-14; Lc 15,4-7).
- "questo progetto conteneva la vita". È la prima volta che nel Vangelo di Giovanni appare questo termine "vita", un termine che, al confronto con gli altri evangelisti, Giovanni userà molte volte; pensate, lo troviamo 37 volte, contro le 7 di Matteo, le 5 di Luca e soltanto una volta in Marco.
Tutta la creazione è stata fatta in vista di un progetto che contiene vita; quello che viene da Dio produce vita. Chi ha vita e chi è nella vita è in comunione con Dio; chi non ha vita - attenzione, ci avvisa l’evangelista! - non è in comunione con Dio.
Ecco perché nel Vangelo ci sono espressioni molto pesanti, specialmente riguardo alle persone molto pie, molto religiose, quelle che credono di arrivare all’armonia con Dio mortificando l’espressione della propria vita. Questo progetto di Dio sull’umanità contiene la vita e chi lo accoglie ha una vita che deve essere esuberante, che deve trasformarsi.
Per quelle persone che in nome di una sbagliata visione di Dio reprimono la propria vita, Gesù userà delle parole tremende: attenti che sono pericolosi da incontrare, perché apparentemente sembrano dei santoni, sembrano delle persone molto mistiche, ma sono invece come "quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo" (Lc 11,44), o come "sepolcri imbiancati: essi all’esterno sono belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume" (Mt 23,27). Si vede se una persona è in comunione con Dio, se ha una vita talmente esuberante da poterla trasmettere agli altri. Le persone che credono di raggiungere la comunione con Dio mortificando la propria vita, la propria affettività, dice Gesù, sembrano belle da vedersi, sembrano dei santi, dei mistici, ma si deve stare attenti, ci si deve tenere lontani, perché il frequentarli significa infettarsi; perché, essendo dentro di loro pieni morte e non avendo vita, comunicano soltanto morte. Quindi, questo progetto di Dio contiene vita: tutto quello che ha vita viene da Dio, tutto quello che non ha vita e non è vita, non proviene da Dio.
- E l’evangelista aggiunge: "e la vita" - o questa vita - "era la luce dell’uomo". Anche qui, Giovanni dà un colpo alla teologia ebraica; nella teologia ebraica si diceva tutto il contrario, si diceva che la luce era la vita dell’uomo e per luce si intendeva, particolarmente, la legge. Conoscete tutti quei Salmi, ad esempio il 119 che dice: "Lampada per i miei passi è la tua parola...." (Sal 119,105). Cosa si pensava? C’è una legge e l’osservanza di questa legge illumina la vita.
Ebbene, Giovanni, che esprime il pensiero di Gesù nella comunità dei cristiani, sbarazza tutto questo. Non è una legge esterna all’uomo quella che ti guida nella vita, ma è la vita che è luce per i tuoi passi. Ripeto, la teologia ebraica diceva "la luce è la vita degli uomini", Giovanni scrive "la vita è la luce dell’uomo". È il rispondere a quel desiderio di pienezza che ogni uomo porta dentro di sé, è lo sviluppare e sprigionare quella pienezza di vita, che ti illumina e ti fa capire come camminare.
Nessuna regola esterna all’uomo, se non questo desiderio di pienezza di vita, che poi si tradurrà in un dono d’amore, come vedremo più tardi. Comprendiamo che Giovanni, e quindi Gesù, si allontanano anni luce da quel pessimismo che la cultura ebraica e - soprattutto - greca avevano inculcato nelle persone. Il pessimismo dell’uomo, l’uomo che veniva considerato come una prigione, nella quale l’anima veniva soffocata; e allora bisognava reprimere la propria vita, mortificare la propria vita, per poter sviluppare il proprio spirito. Questa era tutta la filosofia greca, che aveva infettato anche la religione ebraica. Quindi, dicevano che la vita dell’uomo era piena di male, che la vita nell’uomo andava repressa, che ogni forma di vitalità andava schiacciata, andava mortificata, perché lo spirito potesse liberarsi.
Qui Giovanni sta dicendo qualcosa che è veramente un terremoto: macché, è la vita dell’uomo quello che lo guida. Ma come, la vita non è negativa, l’uomo non deve mortificarsi? No, no! Il verbo "mortificare", fare morte, non lo troverete mai nei Vangeli, né in tutto il Nuovo Testamento. Gesù ci inviterà più volte, Paolo lo dirà, a "vivificare" quello che abbiamo: siamo già talmente morti che non abbiamo bisogno di mortificarci di più.
Quindi è chiaro: non una legge esterna all’uomo che gli faccia da guida, ma è la sua stessa vita a guidarlo. E la vita di ogni uomo è differente, e per questo non ci può essere una legge valida per tutti: ma l’impulso che Dio, con la creazione, ha messo in ognuno di noi è quello di un’aspirazione ad una pienezza di vita. Perciò è rispondendo e sintonizzandosi con questo desiderio di pienezza di vita, che l’uomo vede qual è la sua strada, che sarà una strada differente per ognuno. È l’inno all’ottimismo di Dio sull’umanità: non un Dio pessimista, ma un Dio talmente ottimista e contento della sua creazione che non dice all’uomo: "adesso ti do una serie di leggi e se non cammini dentro a queste, attento a te!", ma dice all’uomo: "rispondi al desiderio di pienezza che hai dentro di te e quello ti farà comprendere qual è il cammino verso la luce".