Frei Betto: In forza della speranza
In forza della speranza
Un
cristiano vive questa virtù come atteggiamento critico. Nessuna
realizzazione umana lo può soddisfare pienamente e tenderà sempre
verso qualcosa d'altro, da conquistare e da ricevere in dono.
La
speranza, una delle tre virtù teologali, ha molto in comune con la
fede. In brasiliano le due parole fanno rima (esperança =
confiança); in altre lingue hanno stretti legami di parentela. Si
spera ciò in cui si crede e si crede in ciò che si spera.
Per
Gesù, la speranza è un atteggiamento virtuoso da giocarsi "qui"
e "ora", nel contesto del Regno di Dio che avanza come
anticipazione della pienezza della storia, non in un "altrove"
e "domani", come vorrebbero coloro che negano o rifiutano
la realtà di questo mondo.
Oggi
l'espressione "Regno di Dio" ha una connotazione vaga,
quasi metaforica. Ben diversa l'eco che queste parole dovettero avere
al tempo dell'impero romano. Annunciare un regno che non fosse di
Cesare aveva gravi ricadute anche politiche. Per questo Gesù fu
messo a morte.
Oggi
"speranza" ha una connotazione molto laica, al punto da
preferirle la parola "utopia". Con la desacralizzazione del
mondo e la morte degli dèi (frutti del Rinascimento), si è fatta
impellente la necessità di ipotizzare un mondo futuro. Con il
progredire della modernità e nella misura in cui l'essere umano si è
sentito padrone della tecnica e della scienza, si è imposta l'idea
che si possa non solo migliorare la convivenza sociale, ma anche
prefigurare un modello ideale di vita verso cui tendere. L'uomo
moderno si concepisce come uno scultore che, davanti a un pezzo di
marmo grezzo, ha già in mente il capolavoro che vuole creare e ha
fiducia di poterlo realizzare. Nella sua opera monumentale, Il
principio speranza, il filosofo marxista Ernest Bloch scrive che «la
speranza è sostegno indispensabile della ragione umana».
Il
marxismo è stata la prima grande religione laica in grado di
tradurre la speranza in un ideale sociale. Grazie a questa visione
del mondo, è entrata nella cultura occidentale la percezione del
tempo come processo storico: l'uomo prefigura la propria esistenza
come un divenire e una continua lotta contro ogni ostacolo che
impedisce la realizzazione di ciò che spera di realizzare.
Per
il cristiano, la speranza del Regno supera ogni altra utopia laica
(sia essa politica, tecnologica o scientifica). Tale speranza porta
il credente a credere che le promesse di Dio si realizzeranno in
questo mondo (hic et nunc), fino a trasfigurare radicalmente tutta la
realtà. Forte di queste promesse, magnificamente espresse nella
Sacra Scrittura, il cristiano mantiene una costante posizione critica
nei confronti di ogni loro parziale attuazione: non esiste un modello
di sviluppo umano che lo possa accontentare del tutto.
La
nuova persona e il nuovo modello di mondo "sperati" dal
cristiano sono, al contempo, frutto dello sforzo umano e dono di Dio:
sforzo che non termina mai e dono che non cessa di sorprendere.
Esiste sempre un domani migliore dell'oggi. Chi spera in Cristo non
assolutizzerà mai una data situazione acquisita o un modello da
conseguire: ogni progresso fatto è relativo e, quindi, suscettibile
di ulteriore perfezionamento. Il divenire (questo svolgersi della
salvezza che Dio dona e che l'uomo realizza dentro la Storia) avrà
fine soltanto quando l'universo tornerà nelle mani del suo Creatore.
La
speranza ha bisogno della memoria. Chi spera, ricorda e commemora.
Yahvé non è uno dei tanti dèi dell'Olimpo. È un Dio che ha una
storia e che ricorda: egli è il Dio di Abramo, di Isacco e di
Giacobbe. Anche noi, che speriamo nella realizzazione del Regno,
ricordiamo le grandi opere da lui compiute. Questa memoria alimenta
la coscienza critica, cioè la consapevolezza della disparità tra
l'oggi raggiunto e il domani da ricevere in dono e da costruire,
della inadeguatezza del "già" e dell'infinitezza del "non
ancora".
Un'utopia
che si radica nelle promesse di Dio non teme le negatività, le ombre
e i fallimenti. Sa di essere una speranza "crocifissa", ma
non sconfitta, perché aperta alla prospettiva della risurrezione.
Dice bene san Paolo: «Nella speranza noi siamo stati salvati. Ora,
ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza;
infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se
speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza»
(Romani 8,24-25). Anche la Lettera agli Ebrei ci ricorda che «la
fede è fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si
vede» (11,1). Charles Péguy, scrittore, poeta e politico francese,
scriveva: «La Fede vede ciò che è. / Nel Tempo e nell'Eternità. /
La Speranza vede ciò che sarà. / Nel Tempo e per l'Eternità».
Sperare
è camminare nella fede verso ciò che si spera e si crede. La fede
ci dà la certezza che Gesù ha vinto la morte e la speranza ci dona
la forza di superare ogni segno di morte (ingiustizie, oppressioni,
preconcetti...). Il nostro cammino è punteggiato di dubbi e di
sofferenze, di conquiste e di gioie. È vero che siamo prigionieri
della finitezza. Ma fede e speranza riempiono il nostro cuore di
infinito. E se camminiamo lungo i sentieri dell'amore, sappiamo di
avere Dio come guida.