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Un’aureola
per due
Maria
e Luigi Beltrame Quattrocchi
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Brano
teatrale scritto da Maffino Redi Maghenzani
ispirato
e tratto dal testo di Giulia Paola Di Nicola e Attilio Danese
“Un’areola
per due” (Città
Nuova Editrice, Roma 2001).
Il
testo teatrale è stato pubblicato nel libro degli stessi
autori;
Lei
& Lui. Comunicazione e reciprocità, Effatà, Torino 2001.
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Le
musiche di accompagnamento sono scelte o composte dal M0 Giacomo
Danese.
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Parte
prima

Voce
m. - In genere non si ama una letteratura che si occupa di amori
senza turbolenze e di sereni quadretti familiari; dall’aria che
tira sembrerebbe che una storia d’amore possa attrarre solo se ha
i colori accesi delle passioni; mentre l’interesse sembra
spegnersi se una coppia di innamorati si trasforma in una famiglia,
se lo straordinario diviene ordinario, salvo poi scoprire come da
un’ardente e fedele promessa d’amore possa nascere una poesia
innervata di divino irradiante tale fascino da innamorarti
l’anima.
Voce f. - Un uomo e una donna
Voce m. - Maria Corsini, fiorentina
Voce f. - Luigi Beltrame Quattrocchi, catanese
Voce m. - A Roma, inizio ‘900
Voce f. - Due famiglie amiche della media borghesia
Voce m. - Amicizia che diviene per i due ragazzi occasione
d’incontro
Voce f. - Incontro che dà avvio e sviluppo a una storia d’amore
traboccante di vita che ignora la routine, gli usi codificati, una
religione sbiadita.
Voce m. - Maria è figlia unica con un innato gusto per il bello e
il vero.
Dante, Shakespeare, Comeille, Racine, Lamartine, Leopardi, Manzoni fino a
Trilussa e il Belli. Apprezza Edoardo de Filippo, ama il teatro,
concerti, musica, studia pianoforte sommandolo all’attività
letteraria.Terreno fertile per la fede.
Voce f. - Luigi.
Formazione classica, Giurisprudenza, ama i classici del trecento, su su
fino al novecento, e i migliori esponenti della letteratura latina,
greca, russa, inglese e francese.
Ama viaggiare, la natura, l’arte.
Humus fecondo e
preparato per l’incontro con la futura compagna di viaggio docile
terreno alla fede che Maria saprà in lui, genialmente, coltivare.
Voce f.
- Luigi nasce il 12 gennaio del 1880
Voce m.
- Maria quattro anni dopo: 24 giugno 1884
Voce f.
- A portare con sé il dono dell’amore è comunque il nuovo
secolo: il 1900
Voce m.
- I ragazzi s’incontrano durante i ricevimenti di famiglia
Voce f.
- I primi dialoghi, i primi incontri
Voce m.
- 15 marzo 1905, Roma, casa Corsini: mentre Maria al pianoforte è
alle prese con Beethoven, i due passano dal lei al tu.
Voce m.
- Luigi:
“…non mi
sembra oggi possibile che io ti abbia chiamato ‘signorina Maria’...
ma tu non sapevi che Gino era già tuo.
Gino voleva
lasciarlo crescere il suo amore, voleva vedere come veniva su e, da
quello scetticone che era, voleva studiare se stesso e colei che gli
aveva preso il cuore.
Ed ecco il
momento sublime in cui il tuo Gino balbettò la prima parola
d’amore, mentre la tua mano s’illanguidiva sulla tastiera
indugiando alla sonata di Beethoven...”
Voce f.
- Maria e Luigi considerano l’ora della posta, come il momento
magico della giornata: era telefono-cellulare-e-mail e quant’altro
oggi si possa pensare. Scrivono almeno una volta al giorno.
Scrivere,
ricevere la lettera, aprirla, leggerla dalla prima all’ultima
parola tornando e ritornando su talune espressioni: rito sacro
d’amore nascente; liturgia che li accompagnerà per tutta la vita
rubando tempo al sonno: a notte fonda o all’alba.
Voce m.
- Le lettere pian piano passano dai ‘cordiali saluti”, “ti
stringo le mani , ai “baci consegnati in un punto preciso
della lettera” dove possono essere raccolti e contraccambiati
Voce f.
- Il pudore è un velo: mantiene intatti i profumi e per le
espressioni più tenere usano “il velo” dell’inglese:
Voce m.
- (la voce maschile recita in inglese a voce alta,
contemporaneamente la voce femminile, lievissima, lontana, in
sussurro, recita in italiano):
“I
have put a kiss so warm as my love: the thought that you
shall take il with your adored lips give me a moment of happiness”
vi ho messo
un bacio caldo come il mio amore, il pensiero che tu presto lo
riceverai... mi dà un momento di felicità
Voce f. -
(voce femminile alta, maschile in sussurro):
“I
kissed that flower I keep always with me, and I seemed to kiss your
own lips, so great a passion I put in it”
Ho baciato
questo fiore che porto sempre con me e mi sembrò di baciare proprio
le tue labbra.
Voce m.
- (voce maschile alta, femminile in sussurro) “How many times I
told to you that without your love I am not a man, bat a rniserable
thing without life. And I always think so. Certainly it is not a
sign of strongness but it is so: only your love can give to me the
force of living”
Quante
volte ti ho detto che senza il tuo amore non sono un uomo, ma una
cosa triste senza la vita. Certamente ciò non è segno di forza, ma
è così: solo il tuo amore può darmi la forza di vivere.
Voce m. - 8 mesi di fidanzamento, poi il matrimonio celebrato nella
basilica di Santa Maria Maggiore il 25 novembre 1905.
Voce f. - Nonna Enrichetta ricama 8 metri di pizzo Renaissance per
l’abito di Maria.
Voce m. - Viaggio di nozze a Napoli. Taormina, Catania e Palermo
Voce f. - Ha inizio così la vita a due con gli inevitabili
distacchi per impegni e lavoro
Voce m. - Le parole delle loro lettere passeggiano sul ponte
del reciproco amore unendo le due sponde trasfondendo l’uno
nell’altro intimi convincimenti.
Voce m. - Maria, in particolare, comunica a Luigi la sua profonda
esperienza di fede, e lo coinvolge.
Voce f. - Maria - “Usciti di Chiesa mi dava il buongiorno come se
la giornata avesse il ragionevole inizio soltanto allora.
Poi lui al suo lavoro, io alle mie occupazioni, ma portando
incessantemente la presenza l’uno dell’altro. Ci ritrovavamo
all’ora del desinare...con quanta gioia udivo metter la sua chiave
nell’uscio di casa, ogni giorno…
…e alla sera parlavamo di tutto: politica, professione… le sue
impressioni erano acute e benevole, sempre. La cena. Il giornale
letto a voce alta e discusso. Qualche brano di libro ameno, il
rosario in comune, la buona notte…”
Voce m. - Nel 1906 nasce Filippo...
Voce f. - Maria - Il piccino sta bene, quando gli ho fatto vedere
il tuo ritratto, senza dirgli nulla, ha cominciato a baciarlo e poi
lo dava a me perché facessi altrettanto, poi col ditino ti indicava
e diceva pa-pà, pa-pà”.
Voce m. - Quando Filippo ha 11 mesi Maria avverte i segnali di una
nuova imprevista maternità. Luigi è lontano per lavoro. L’assale
un sentimento di sgomento e di solitudine.
Voce f.
- Maria:
“Un’altra
maternità.
E così
ravvicinata!
Cosa darei
perché non fosse vero! Quando arriverai Luigi? Torna presto!
Oh, se tu fossi
qui!
Voce m.
- Prima che Luigi possa esserle accanto e sostenerla, Maria decide
comunque in cuor suo... sola.., il suo SI.
Voce f. -
Arriva Stefania, Fanny, poi è la volta del terzogenito, Cesarino.
Maria, insieme
ai bambini, accudisce i genitori e i nonni che abitano nella stessa
casa.
Voce m.
- Luigi avvia la carriera professionale con responsabilità in vri
Ministeri, poi Consulente Legale IRI, fino alla proposta di
Degasperi che lo avrebbe voluto Avvocato Generale dello Stato…
Voce f.
- Ma è il 1913 a segnare uno spartiacque per la famiglia.
La quarta
gravidanza fila dritta fino al quarto mese, poi l’imprevisto, e i
medici danno l’aut aut: interruzione della maternità se si vuol
“tentare” di salvare “almeno” la madre.
Gli occhi di
Maria, diafana e anemizzata, s’incontrano con quelli impietriti di
Luigi.
Due, un unico
sguardo, verso quel crocefisso appeso alla parete.
Due anime, un
unico NO, fermo, inequivocabile
Voce m.
- Medico:
“Ma si rende
conto, avvocato, che lei resterà vedovo con tre bambini!?”
Voce f. -
Il “NO” pesa come una cappa di piombo
Voce m. -
Quattro mesi d’indicibile trepidazione e di illimitata fiducia in
Dio e nella Vergine
Voce f. -
Dentro il bozzolo (angoscia, fede, sospensione, speranza) il divino
li impregna nell’intimo fino all’abisso dell’io e del tu,
dell’uno e dell’altra, aprendoli in nuovissimo volo...
Voce m. -
Vede la luce Enrichetta, la figlia che assisterà i genitori fino
alla loro morte.
Voce f. - sotto l’incandescente morsa della prova e della grazia,
i due si fondono in nuova armonia: acini pigiati/ grano macinato/
pane profumato e offerto.

Parte
seconda

Luigi -
Maria, di certo tu non stai bene, o fisicamente o moralmente, perché
se no, donde questo mio accoramento terribile? Questo mio parossismo
di dolore? Quando mai un cuore amante sbaglia?
Maria -
Gino mio, io non so dirti cosa sento nell’anima di te e per te.
Gesù solo può manifestartelo se te ne rendi degno con l’amore e con la
fede in Lui e in chi Egli, amorosissimamente, ti ha messo vicino.
E’ l’anima della tua Maria che ti parla così.
Vorrei che queste pagine ti facessero sentire ciò che sento
scrivendoti…e anche senza scriverli...
Luigi - Mi pare d’udire le tue dolci parole d’amore…come uno
spirito che m’aleggia d’intorno, lo spirito tuo affettuoso e
carezzevole.
Maria - E proprio oggi tu mi scrivi di sentirmi, mi assicuri di
sentirti sempre lo spirito mio che ti aleggia intorno.
Vedi, amore, che coincidenza bella?
Quante volte, Gino, proviamo una meravigliosa coincidenza nei pensieri,
negli atti, nel nostro stato d’animo...
Maria - Gino ti prego non lasciarti prendere dall’ansietà del
lavoro: nuoce alla tua salute fisica e spirituale.
Si lavora con rapidità quando l’ala della confidenza calma, cheta,
serena, ci porta sotto l’occhio amatissimo di Dio.
Luigi - Sono ancora un po’ cattivo, Maria; l’opera benefica del
tuo amore non è ancora compiuta; forse il tempo non è stato ancora
sufficiente.
Ma io ho un’assoluta fede nella sincerità purezza squisitezza del tuo
amore.
Maria - Ti raccomando l’unione con Dio, Gino; il Suo richiamo,spesso,
ad interrompere la febbre del lavoro.
Luigi - Soto la tua carezza, l’anima mia, che è tua,
tutta tua, diverrà gentile, ne sono sicuro, già mi sento migliore.
Maria - Non mi fai alcun cenno sulle mie raccomandazioni a
proposito dell’ansia del lavoro..., sai, non v’è differenza, in
questo piano, tra Abbadessa e portinaia, tra Arcivescovo e curato di
campagna, tra generale e soldato... anche il minimo gesto di
chiudere piano la porta, raccattare uno spillo, prevenire un
desiderio.., tutto, tutto e importante per la santità.
Luigi - Ti sono grato, Maria, il tuo amore mi incoraggia alla vita
e alle sue lotte.
Maria - Credi a me Gino mio: è più saggio sopportare questi
piccolissimi dolori che gridar contro essi... tutti questi
microscopici sacrifici non sono che un continuo ingentilimento
dell’esser nostro, benefica smussatura agli angoli del carattere.
Gino - Tu sei la mia fata benefica; tu mi salvi l’anima dallo
scetticismo.
Amami sempre così, Maria, e troverai nel mio affetto e nella devozione
mia ogni maggior conforto che amore d’uomo possa dare poiché a te
ho dedicato, consacrato tutta la vita mia.
Maria - Ti voglio bene, Gino, perdona alla tua Maria le sue
debolezze e vedrai: sforzandoti di contentarla andranno svanendo da
sé, e ti sarà grata d’averla contentata come lo hai promesso
tante volte e anche mantenuto.
Gino - La mia anima, ha bisogno della tua anima per vivere.
Maria - Sì, ma tu devi tornare presto! Se non vieni presto mi
trovi... squagliata.
Gino - Corro da te come un bambino si rifugia in grembo a sua
madre.
Maria - Giurami su quanto hai di caro al mondo che mai mi scriverai
per forza... se riceverò una lettera, anche una sola: fa che possa
goderla tutta, divorarla come l’emanazione sincera e spontanea
dell’anima tua...
Gino - Ho sempre tanta sete delle tue parole: mi fanno bene
all’anima.
Maria - Gino mio adorato non sono capace d’esprimerti l’amor
mio, come tu fai tanto bene.
Ti dico solo che affetto più grande, più complesso, non può esistere.
Mi vado ripetendo: quanto sei buono, quanto sei migliore di me!
E di tanto in tanto penso: “Gino mio in questo caso come farebbe? O come
vorrebbe io facessi?”
Gino - Non so cosa farei per vederti sempre serena, perché di
tutto so darmi pace fuorché del tuo dolore che diventa subito mio e
il mio maggior dolore.
Maria - Mia madre, vedi, è per me quello che la terra è per i
fiori, ma ci voleva il calore del sole e questo è il tuo amore
santo e forte. In tutto ciò che è bello santo divino, io vedo
qualcosa di te, mi par quasi che tutto ciò sia tale per virtù
dite, amore mio.
Per esso... ti benedico… con gratitudine eterna.

Parte
terza

Figlio - Mamma teneva molto alla casa ne aveva una speciale cura,
soprattutto per la sala da pranzo, luogo dove più si stava assieme:
usava tutta la sua fantasia per renderla bella, accogliente.
Figlia - Mamma in casa si muoveva come una regina, col suo re
accanto e la corona di noi figli attorno.
Figlio - Quando capitava l’amico dell’amico, bastava aggiungere
un piatto. “Ospiti, sempre e chi più ne ha, più ne metta!”
Durante la guerra si può dire che non c’erano in casa meno di due
ricercati alla volta.
Figlia - Per un periodo abbiamo accolto anche 3 bimbe i cui
genitori erano morti d’epidemia.
Figlio - Da casa nostra è passata la più diversa tipologia di
gente ma papà e mamma sapevano creare un clima coinvolgente e se
volava qualche parola in più, papa si (verso) ‘raschiava
la gola’ e ,, “Beh, beh, non cominciamo a mormorare”:
interrompeva sempre il discorso.
Figlia - “Luigi, è venuto il tale a chiedere.. quanto gli do?
Cinquecento o mille?
Figlio - “Mille, mille! E’ sempre meglio abbondare coi
poveri”...
Papà a ogni fine mese rientrava in casa con la busta dello stipendio che
consegnava interamente a mia madre,..
Lo faceva con una certa solennità, chiedendo poi a lei il minimo
indispensabile per le piccole spese personali.
A me sembrava sempre un rito.
Figlia - Se mamma era la depositaria, entrambi costituivano il
consiglio d’amministrazione… sobrio e oculato, sempre.
Economicamente non mancavano le possibilità, eppure c’era sobrietà:
non si compravano scarpe o abbigliamento se c’era la possibilità
di risuolare o ‘rivoltare’ gli abiti: nessuna firma, ma buon
gusto sempre, e fantasia.
Figlio - Dedicavano una cura speciale alle vacanze, insieme:
creative, l’ri-creative, sportive, culturali... indimenticabili.
Figlia - Credo di dovere in gran parte di quel poco che so, e che
mi fa passare per persona colta, proprio alle interessantissime
conversazioni fra noi.
Le discussioni si accendevano anche, ed io ammiravo in papà e mamma la
competenza, l’apertura e una geniale capacità di risolvere ogni
problema alla luce della fede.
Figlio - Studiavano psicologia per poterci venire incontro e
migliorarsi nel rapporto con noi e sapevano dire NO con lo stesso
amore con cui dicevano SI. Una volta mamma scrisse un biglietto a un
mio insegnante: “La prego di dare una punizione esemplare a mio
figlio per aver disturbato la classe”.
Mamma affidò il biglietto a me, fidando pienamente nella mia lealtà nel
portarlo e consegnano pur conoscendone il contenuto. Il professore
lesse il biglietto davanti a tutti e mise 6 mentre avrei
meritato di più.
Curavano bene i nostri diversi mondi: amicizie, scuola, arte, vita
spirituale...tutto.
Figlia - Ogni mattina, prima di uscire, papà leggeva le Letture
del giorno a mamma mentre lei terminava di preparasi.
Figlio - L’atteggiamento di papà quando pregava in chiesa era di
tale raccoglimento che... m’impressionava.
Il suo desiderio di ricevere l’Eucaristia era talmente forte che una
volta - eravamo da soli sulle Dolomiti - rinunciò e mi fece
rinunciare ad un’escursione eccezionale perché ci avrebbe
impedito, quel giorno, di fare la comunione.
Figlia - Ci aiutavano ad avere uno sguardo sul mondo.
Figlio - Con gli occhi di Dio, però.
Figlia - In famiglia ci trasmettevano l’interesse e la giusta
passione per la vita sociale e politica e anche la compartecipazione
ai dolori degli altri.
Figlio - Mamma ci portò ad Avezzano in Abruzzo a far visita alle
vittime del terremoto della Marsica.
Figlia - Durante la guerra era in ospedale accanto ai feriti e con
la Croce Rossa si specializzò in malattie tropicali.
Figlio - Poi avevano tutti gli impegni associativi: antesignani dei
Corsi per fidanzati. Animatori di Rinascita Cristiana…
Figlia - C’era spazio per tutto…
Figlia - Prima del nostro ventesimo anno entrai fra le Benedettine
di clausura.
Filippo e Cesare divennero monaci e sacerdoti, ed Enrichetta si dedicò, sì
consacrò, stando vicino a papà e mamma fino alla fine.
Figlio - Mamma ha precisato, anche per iscritto, che in casa non ci
furono mai pressioni, affatto, anzi stavano molto attenti.
Figlia - “...e mamme si potranno forse chiedere quale segreto
possa aver, non dico originato - chè le vocazioni vengono da Dio -
ma favorito lo sviluppo dì queste divine chiamate.
Un ambiente di concentrata pietà?
Una vita d’inesorabili rinunzie, penitenze, sacrifici, contrizioni?
Altarini e preghiere senza fine?
No lo so: ma da tutto questo non può essere dipesa la vocazione dei miei
figli perché... perché tutto questo non c’è mai stato!
Abbiamo cercato che le loro anime fresche, pure, fossero riparate
dall’influsso del male, che respirassero la vita cristiana, che si
nutrissero dell’Eucaristia, che gioissero del dono della vita,
delle bellezze della natura, di compagnie sane, che amassero la
patria e le sue istituzioni, che conoscessero la religione nelle sue
basi e nelle sue vette e la servissero con coerenza, ecco tutto.
Figlio - Mi sento incapace di dire come da bambini siamo cresciuti
intellettualmente, affettivamente, spiritualmente fino a prendere,
prima dei vent’anni, la strada segnata da Dio per noi, non me ne
sento capace...
Figlia - Come si fa a dire il modo con cui ci nutre il cibo
quotidiano o l’aria che si respira? o la luce che ci fa vedere,
come si fa?...

Parte
quarta

Figlia
- Per incontrarmi, per incontrare la sua Stefania, papà affrontava
una volta al mese il viaggio a Milano: due notti in treno da sabato
sera a lunedì mattina per restare con me solo mezz’ora parlando
attraverso quelle grate che non riusciva a sopportare.
Figlio - Papà, in alcuni periodi, ci dedicò una domenica a testa:
una a Milano da Stefania, una a Parma da me e un’altra a Noci da
nostro fratello.
Figlia - Il loro abbraccio non era ormai soltanto per noi figli, ma
anche per le nostre comunità. Ne hanno condiviso preoccupazioni,
vicende, spese, sì si, anche oneri economici.
Figlio - Le loro lettere puntuali, profonde, alte, concrete,
sapienti, si chiudevano sempre con una richiesta di benedizione e
una loro benedizione a noi.
Figlia - Sono stati una benedizione per noi e per tanti.
Figlio - Durante la guerra papà rimase scosso dall’eccidio delle
fosse Ardeatine, tanto che non gliene demmo subito l’annuncio,
anche perché tra i martiri c’erano due suoi amici.
Fu fermato due volte per strada da quelli della Wermacht che rastrellavano
uomini per portarli a lavorare: in quell’occasione si tolse il
cappello con pacatezza mostrando i suoi capelli bianchi e il suo
sorriso gentile…
Gli uomini della Wermacht sostavano sotto le finestre di casa nostra con i
mitra spianati bivaccando in cortile, tuttavia papà e mamma
riuscivano a far passare sotto loro occhi militari sbandati, ebrei
clandestini, persone politicamente sospette e accoglievano tutti in
casa; facevano indossare loro e nostre vesti di ricambio così da
sembrare benedettini; poi li mandavano a Rocca di Subiaco dove noi
li accoglievamo col permesso dell’Abate.
Ricordo che rimandavamo a casa le tonache con la massima rapidità affinché
- scrivevamo - fossero pronte per altre vocazioni “tardive”.
La salute di papà cominciò a scricchiolare per la prima volta nel ‘41,
a 61 anni, una crisi cardiaca, anche se non grave. La cosa si ripeté
nel ‘44 e poi più nulla per 7 anni, fino al ‘51.
Quattro giorni prima di lasciarci, fece una cosa che mai aveva fatto in
vita sua. Era fine ottobre ‘51. La priora delle Benedettine di
Milano venne a Roma per un convegno e, strano, si fece
accompagnare da nostra sorella.
Nostro padre, senza una motivazione esplicita o premeditata, colse
l’occasione e mobilità per averci tutti insieme a Roma. Non aveva
mai chiesto nulla, aveva sempre dato, ma stavolta tanto fece che la
spuntò.
Io arrivai da Genova e mio fratello da Parma.
L’appuntamento era in via Portuense, dalle Benedettine, alla Messa e...senza
quelle benedette grate.
Era il 5 novembre 1951.
A 27 anni di distanza da quando uscimmo tutti di casa, per la prima volta
la famiglia si ritrovò tutt’assieme attorno al suo patriarca.
La commozione, al pensiero, non si spegne ancora oggi.
Quattro giorni dopo, nuova crisi cardiaca.
Papà se n’è andato con un volto serenissimo, come i giusti.
“Attendo - aveva scritto - il momento in cui dovrò lasciare questa
vita, fiducioso nella infinita misericordia di Dio...
Spero voglia concedermi la grazia della perseveranza finale in quella fede
che oggi sento vivissima e a cui cerco, come so e posso, di
mantenermi coerente. Attendo quel giorno col dolore di dovermi
staccare dalla mia dilettissima Mariaa, cui debbo gratitudine
immensa ed eterna per tutto il bene, morale e materiale, che mi ha
fatto, e dai figlioli adorati…
...ma ho speranza che ci ritroveremo tutti nell’eterna glorificazione di
Lui…”

Parte
quinta

Figlia
- Mamma rimase con noi ancora 14 anni.
Cosa sia stata per mamma la morte di papà è difficile da dire:
“Quello che c’è nel cuore non si può descrivere, ma tu mi
comprenderai di certo, vero?
Ho bisogno di tacere, perché?
Forse il pieno dell’anima che fa il dolore, si chiude per restare più
celato...
Se mi esternassi potrei, di minuto in minuto, dire gli infiniti richiami e
ricordi e consuetudini, facendone incessante olocausto...Vedi?
Mi sono lasciata andare a parlare... e pur non riuscendo mai a piangere...
sembra quasi che faccia bene...
Sai, una vita vissuta così, convinti che l’unità non si sarebbe potuta
infrangere senza portare quaggiù lo sfacelo..., lo sfacelo di un
blocco...
Mai come quando lo portarono via, io ho visto questo blocco nella sua
compattezza… mai come in quel momento sentii che avevo perduto...
il mio re e... m‘inchinai reverente...
Blocco voluto da Dio nel sacramento, composto, plasmato, reso
compatto, infrangibile dal mutuo amore, dalla comprensione,
dall’elevazione reciproca delle anime nella carità e nella
grazia...
Figli miei, vi lascio queste ultime parole affinché le possiate sentire
nelle anime vostre quando la mia voce tacerà.
In questi giorni di “attesa”, quando sono sola, vado attorno per le
stanze di questa casa che vi ha visti nascere tutti e che ha visto
andarsene i nonni e poi il vostro papà, mille volte benedetto!
Vado attorno, e ogni stanza di questa casa mi parla: vedo i ritratti di
voi bambini, poi ragazzi, poi giovani, e rivivo quel tempo e quelle
ansie e quelle consolazioni che mi deste...
Rivedo le fotografie del tempo di guerra e mi ricordano le ansie fiduciose
sofferte per VOI...
E penso... penso che quando non ci sarò più, tutto questo rivivrete col
dolore ispirato e accresciuto dall’affetto di cui mi avete
ricolmato in questi ultimi anni... Ve ne sono grata figlioli miei
carissimi.
Che la vostra vita, di momento in momento, si perfezioni sempre di più.
Non a caso Gesù ci ha donato tante grazie. Egli che amandoci d’amore
gratuito e infinito, aveva su ciascuno di noi disegni di carità.
Cosi mi darete una gioia ineffabile di cui Dio vi compenserà largamente e
Papà ed io dal Cielo, vi benediremo.
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