Il
ricordo di quanto avvenuto il 16 novembre di quattordici anni fa -
la
strage di sei gesuiti della Università centroamericana (Uca) di San
Salvador, della donna di servizio e di sua figlia - è una buona
occasione per parlare di santità . Tanto più in un'epoca che sopporta
il carico di crudeltà inimmaginabili, e in un mondo che, quando
parla di santità , lo fa spesso in maniera inadeguata o parziale o
trionfalista o interessata. La santità , "il meglio della bontà ", è
al centro della "Lettera a EllacurÃa" (il rettore della Uca,
massacrato insieme agli altri gesuiti) che il teologo della
liberazione Jon Sobrino, il sopravvissuto di quella strage (si
trovava in quel momento fuori dal Paese) ha scritto anche
quest'anno, nel quattordicesimo anniversario del massacro, per
ricordare i suoi compagni e, insieme a loro, le migliaia e migliaia
di martiri caduti per difendere la giustizia ("e, perciò,
testimoniare la fede nel vero Dio"). Quel crimine è rimasto fino ad
oggi impunito: due anni fa la Compagnia di Gesù presentò presso la
Corte Suprema di Giustizia di El Salvador una denuncia contro lo
Stato per omissioni nelle indagini, senza, finora, ottenere alcuna
risposta. Oggi, per ottenere giustizia, la Compagnia ha fatto un
passo ulteriore, rivolgendosi all'Oea, l'Organizzazione degli Stati
Americani.
Intanto,
il ricordo di Ignacio EllacurÃa, Segundo Montes, MartÃn Baró, Juan
Ramón Moreno, Amando López, JoaquÃn López, Elba e Celina Ramos offre
a p. Jon Sobrino l'opportunità di una riflessione sulla santità :
quella bontà "indifesa, a fondo perduto", apparentemente inutile,
che irradiava in maniera così speciale da mons. Romero. Quello che
il filosofo francese Blaise Pascal chiamava esprit de finesse -
stinguendolo dall'esprit de géometrie, lo spirito della razionalitÃ
- che per Sobrino significa lasciarsi interpellare "in maniera
definitiva dall'autorità di quelli che soffrono", e nell'obbedire;
nel provare misericordia "fino alle viscere" di fronte alla
sofferenza altrui, al punto da fare dell'altro "il fine ultimo".
Di
seguito il testo integrale della "Lettera a EllacurÃa", in una
nostra traduzione dallo spagnolo.
Caro Ellacu,
nel 1980 desti un corso di ecclesiologia.
Con il tuo caratteristico rigore parlasti della Chiesa
dei poveri, della sua identità e missione, e sottolineasti anche
quanto perseguitata fosse questa Chiesa, all'esterno e anche
all'interno. Di sicuro, pochi mesi dopo fummo costretti a cancellare
il corso dopo l'assassinio di un alunno, che era sacerdote, e le
minacce ad altri. Tu stesso fosti obbligato ad abbandonare il Paese,
poiché eri il primo della lista di quelli che dovevano essere
assassinati. Comunque, parlando della Chiesa dei poveri e dei suoi
problemi ti uscì una delle tue frasi lapidarie: "l'ultima arma della
Chiesa dei poveri è la santità ".
Non so se il benevolo lettore di questa
lettera si sentirà sorpreso da queste parole, ma così fu, e lo
dicesti senza affettazione. Con "santità " non volevi dire,
naturalmente, ritiro dal mondo, né pietismo. Neppure invitavi a
"dedicarsi a una santità " individualista, che, come ha scritto
Anohuil, "è anch'essa una tentazione", né davi una definizione. Con
"santità " credo che ti riferissi semplicemente al fatto che la
Chiesa dei poveri fosse una Chiesa secondo il Vangelo. E questo non
è per nulla scontato. La Carta Magna della Chiesa dei poveri,
dicesti, sono le beatitudini
di Gesù, e i santi di questa Chiesa sono "i poveri in spirito".
"Poveri" sono quelli che sono in basso nella realtà , quelli che
soffrono, loro e i loro figli, mille povertà . "Nella Chiesa" vuol
dire quelli che hanno la missione di generare vita, e di far sì che
ci sia giustizia e pace. Quello che può aggiungere la "santità " è
fare tutto questo senza ostentazione, ma con semplicità ; senza
interesse a farsi strada, ma con compassione; senza seconde
intenzioni e senza l'arroganza di "avere sempre ragione", ma con
sguardo misericordioso. In quei giorni "santità " era quello che
emanavano coloro che erano perseguitati per la loro fedeltà a quanto
dice Gesù nella Bibbia e a quanto diceva mons. Romero in cattedrale.
"Santi" erano, e sono, quelli che piangono e si indignano davanti
alla crudeltà con cui operano gli oppressori, ma compiono il
miracolo di non albergare vendetta e di tenere puro il
cuore.
Quando la perversione del mondo in cui
viviamo non ha potere su queste persone, le più semplici, che
seguono Gesù come la cosa più naturale, allora la parola "santità "
acquista un tono distinto che va oltre quello che a volte assume nei
libri dei santi e nelle esortazioni che ci vengono rivolte
quotidianamente. Neppure ha il tono "trionfalista" che,
paradossalmente, può circondarla nelle canonizzazioni.
"La santità " di cui parlasti quel giorno,
Ellacu, penso che vada oltre le virtù, per eroiche che siano. È
qualcosa di più profondo. È come un riflesso del Padre celeste,
"totalmente buono", come dice Matteo, "buono anche con gli ingrati",
come completa Luca. È la delicatezza e la qualità della bontà . È
quello che desideravi e vedevi nella Chiesa dei poveri. In mezzo a
persecuzioni e sofferenze, a limiti ed errori, lì vedevi il riflesso
di Gesù e del suo Dio. E "questo", accompagnando la prassi
liberatrice, è quello che tu pensavi fosse l'ultima arma della
Chiesa.
Vedesti questo riflesso anche in altre
persone. Il caso di mons.
Romero è chiaro. Uomo di profezia e di giustizia, uomo di
preghiera e di fede, irradiava qualcosa di molto speciale.
Parafrasando quello che di Gesù dice Paolo nella lettera ai
filippesi, Monsignore "non si aggrappò alla sua condizione di
arcivescovo e personaggio noto, ma al contrario si spogliò del suo
rango e prese la condizione di servo, facendosi uno tra i tanti",
come i contadini e le contadine della Chiesa dei poveri.
Ovviamente ammiravi in lui la sua prassi
evangelizzatrice, la sua denuncia profetica e la sua utopia di
speranza. Ma in Monsignore vedevi inoltre la qualità della bontà ,
indifesa, a fondo perduto, che rende, così, presente l'affascinante
mistero di Dio. Questa bontà sembra che "non serva a nulla", ma con
essa mons. Romero scatenò una rivoluzione che è sopravvissuta ad
altre rivoluzioni, e i cui frutti sono arrivati fino ai nostri
giorni. Ellacu, qualcosa di questo credo che vedesti in Monsignore.
Ed eri condotto dalla sua fede.
E voglio ricordare un secondo esempio
meno noto, ma ugualmente illustre: il padre Arrupe. Con lui, come
superiore generale, hai avuto dialoghi e a volte alcune scaramucce
fraterne, che terminarono nel 1976. Non lo adulasti mai, qualcosa di
estraneo alla tua personalità , ma sì scrivesti su di lui un articolo
altamente elogiativo: "Pedro Arrupe, rinnovatore della vita
religiosa". Lo confrontavi con Giovanni
XXIII, rinnovatore della Chiesa universale. Ma l'importante è
dove vedevi tu il fondamento della sua grandezza.
Arrupe è stato un uomo di Dio, al di lÃ
di tutte le cose; e voleva che anche i gesuiti lo fossero veramente.
Ma "in verità ". Questo "in verità " implica che era Dio che egli
cercava, non una qualunque altra cosa che volesse farsi passare per
Dio, anche in ambienti religiosi ed ecclesiastici. Non sostituiva
Dio con niente; un Dio più grande delle Costituzioni e della
struttura storica della Compagnia di Gesù; un Dio più grande della
Chiesa e di tutte le sue gerarchie; un Deus semper maior et semper
novus? È nell'esperienza quotidiana di questo Dio, a cui dedicava
molte ore di ricerca, che si risvegliava la sua grande libertà di
spirito, il suo grande amore per tutti, la sua costante
disponibilità e umiltà , e anche la sua chiaroveggenza
religiosa.
Mons. Romero e p. Arrupe erano, dunque,
"santi". Ma forse ti domanderai, Ellacu, e forse lo farà anche
qualche lettore di questa lettera, perché parlare oggi di "santità ".
Personalmente vedo due ragioni.
La prima è che siamo di fronte ad un
fenomeno massiccio di canonizzazioni e beatificazioni. Allora,
quello che abbiamo detto forse aiuta un po' a penetrare in
profondità in tutto questo. Come è noto, "canonizzare" significa
"dare una norma", cosa che è stata importante per molti secoli per
evitare entusiasmi esagerati e per evitare di dichiarare sante
persone che a volte potevano esserlo e a volte non tanto. È bene,
dunque, che vi siano processi di canonizzazione e che così si
dichiari la santità di una persona.
Ma non è tutto. Non vanno dimenticati
l'elevato numero di canonizzazioni e beatificazioni, i criteri di
ripartizione per continenti, congregazioni religiose, sacerdoti e
laici; le discussioni se siano o meno martiri, intendendo il
martirio a volte unilateralmente, a seconda se siano caduti o no per
mano dei "nemici della Chiesa"; il trattamento dei miracoli, se ci
sono state cause naturali o poteri divini; le risorse necessarie per
ottenere una canonizzazione; la politica che si scatena intorno ad
alcuni casi? E aggiungiamo i costi dei processi, le piccolezze
umane, la sensazione che si faccia propaganda a favore di uno o di
un altro candidato, mentre il silenzio si chiude su altri. Tutto
questo può confonderci di fronte a ciò che è realmente la santità .
Mi richiama l'attenzione, per esempio,
l'insistenza sul fatto che vi siano miracoli, come se solo i
miracoli mostrassero inequivocabilmente la presenza di Dio perché
sono espressioni di "potere". E allora immagino il sorriso del buon
Dio che sussurra agli esseri umani: "il mio non è potere, è amore".
E mi sembra di ascoltare il suo saggio consiglio: "cercate dove c'è
stato amore, misericordia, verità e giustizia. Forse dovrete
cambiare alcune cose della prospettiva istituzionale della
canonizzazione, ma scoprirete più santità di quella che
pensate".
Penso anche che sia bene indagare sulle
virtù eroiche, che tanto servono al nostro mondo, purché non si
dimentichi né passi in secondo piano "la vita eroica" dell'immensitÃ
dei poveri che, in mezzo a molte sofferenze e insieme a molte altre
cose, errori compresi, mantengono la volontà primigenia di Dio:
"vivere e darsi da fare per la vita del prossimo".
Per noi in America Latina è
incomprensibile che non sia stato canonizzato o beatificato uno solo
delle migliaia di martiri - così li chiamiamo - caduti per difendere
la giustizia, e, perciò, testimoniare la fede nel vero Dio.
Personalmente non mi preoccupa che canonizzino o meno mons. Romero,
ma farlo restituirebbe dignità a molte vittime, verserebbe olio su
molte ferite di madri, spose, figlie? In lui si vedrebbero
rappresentate migliaia e migliaia di persone.
E una cosa non c'è da dimenticare:
Monsignore, e tanti altri ed altre con lui, non solo erano e sono
ammirati e venerati, ma sono anche amati. E questo toglie alla
santità quel tanto possibile di distanza e durezza e fa sì che, al
loro posto, appaiano la vicinanza, l'affetto e l'amore.
Forse queste riflessioni aiuteranno a
ubicare meglio le canonizzazioni e a comprendere la santità come il
meglio della bontà .
La seconda ragione è che "la santità " mi
ricorda alcune parole di Pascal che oggi mi sembrano di massima
attualità e di somma importanza. L'insigne scienziato (matematico e
fisico) e insigne umanista (pensatore, filosofo, in qualche modo
teologo) distinse l'esprit de géometrie e l'esprit de finesse.
Parlando di "spirito di geometria", si riferiva allo spirito delle
matematiche, esattezza e precisione; insomma, lo spirito della
razionalità . Più difficile è tradurre esprit de finesse. Forse la
cosa migliore sarebbe tradurlo con "delicatezza", intendendo con
questo tutto ciò che ci fa conoscere più sottilmente, più
saggiamente, più sentitamente, più raffinatamente. Pascal insisteva
che entrambe le cose sono necessarie, ma - nell'epoca razionalista
in cui gli toccò vivere, inaugurata da Cartesio - la novità era
rappresentata dallo "spirito di finezza".
Allora, parafrasando per il giorno
d'oggi, credo che ci sia uno spirito di geometria, necessario e
buono (conoscenze, organizzazione, prassi realistiche, pragmatiche
nel miglior senso della parola) con cui si producono beni nella
società . Ma c'è anche - e in eccesso - uno spirito di geometria
cattivo e peccaminoso, tanta economia e politica accompagnate da
oppressione, menzogna e corruzione e, quando è necessario, da
repressione; molto pragmatismo senza norme né valori, senza nulla di
assoluto e con molto di triviale, tutto ciò geometricamente
calcolato. Un buon modo di riassumerlo nel nostro tempo sono le
parole di Adolfo Pérez Esquivel: "il capitalismo è nato senza
cuore".
Quando uno vede tanta crudeltà , saccheggi
ai danni di popoli poveri, menzogne senza pudore, coalizioni egoiste
e disumane, trivializzazione e infantilizzazione passive e
ossequienti con i potenti, e quando si cerca di giustificare tutto
questo in nome di cose buone e nobili, come la libertà , la
democrazia, la globalizzazione, allora è evidente che bisogna
rifiutare la "cattiva" geometria, ma è anche evidente che non basta
la "buona" geometria. Bisogna andare oltre, allo spirito di finezza:
il cuore e lo sguardo limpido, si vinca o si perda con questo, la
fame e la sete di pace e di giustizia, e di ogni parola che esca
dalla bocca di Dio, la misericordia di fronte alla sofferenza altrui
che giunga fino alle viscere e che faccia dell'altro - non della
democrazia, né del progresso, né della globalizzazione, neppure
delle istituzioni, religiose o civili - il fine ultimo, beatificante
e salvifico per noi.
È questo spirito di finezza quello che
riassumono molte buone persone sconosciute - lo spirito di servizio,
che non è servilismo, di molta gente semplice - e persone più note
come mons. Romero e p. Arrupe di cui abbiamo parlato. È questo
spirito di finezza quello che, per fare il bene, non si appella come
tribunale supremo a norme, canoni, convenzioni internazionali,
costituzioni, ma che in maniera definitiva si vede interpellato
dall'autorità di quelli che soffrono, e obbedisce. È questo spirito
di finezza quello che emanava mons. Romero quando diceva "con questo
popolo non costa essere un buon pastore", o quando diceva "il popolo
è il mio profeta". Non lo faceva per guadagnare voti, ma perché
questa era la sua profonda convinzione.
E se mi permetti ti ricorderò due momenti
tuoi di finezza. Non ti piaceva molto apparire "buono", anche se ti
piaceva, sì, che ti riconoscessero "giusto" e intelligente. Ma
ricordo quando, in tutta semplicità , senza ostentazione, dicestii
"non odio nessuno". Lo dicesti con totale naturalezza e totale
verità , e nel contesto di un incontro con Roberto D'Abuisson (il
fondatore del partito Arena, accusato di essere il mandante
dell'omicidio di mons. Romero, ndt). E quando ricordasti quel detto
di S. Agostino che "per essere uomo bisogna essere più che
uomo".
Caro Ellacu, abbiamo molto bisogno di
santità e di finezza. Il Pnud (Programma delle Nazioni Unite per lo
sviluppo, ndt) fa cose buone, misura come va lo sviluppo e la
povertà , ma non può misurare come andiamo con lo spirito di finezza,
se avanti o indietro. E tuttavia continuiamo a vivere della bontÃ
accumulata nella storia, quella vostra, Amando e Lolo, Juan Ramón e
Nacho, Elba e Celina, Segundo Montes e tu, Ellacu, e quella di molti
altri. Qualcosa, molto, avete voi introdotto di finezza e santitÃ
nel nostro mondo e nella nostra Chiesa. Su questo edifichiamo la
nostra speranza e continuiamo a lavorare per il Regno. Per questo vi
ringraziamo e vi ricordiamo>>.
Jon Sobrino
(tratta
da www.adista.it) |
Chi è Jon Sobrino? |
Jon Sobrino è
un teologo gesuita sopravvissuto - perché si
trovava in Thailandia - al massacro della Uca
(Università centroamericana dei gesuiti a San
Salvador), avvenuto il 16 novembre del 1989.
Furono assassinati, quel giorno, il rettore Ignacio
EllacurÃa, spagnolo, uno dei più grandi
teologi della liberazione, i suoi confratellii
Segundo Montes, Ignacio MartÃn Baró,
Amando López, Juan Ramón Moreno,
spagnoli, e JoaquÃn López-López,
salvadoregno. Insieme a loro morirono, perché non
restassero testimoni, la cuoca Julia Elba Ramos
e sua figlia Celina. | | |
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Informazioni sul
Salvador: |
Il
Salvador è stato tormentato da guerre interne sin
da quando ha ottenuto lÂ’indipendenza dalla Spagna,
nel 1821. Il Paese ha una superficie di 21.041
chilometri quadrati, con una popolazione di circa
sei milioni di abitanti, per lo più cattolici. La
minoranza creola mantiene un ruolo socio-economico
dominante sulla maggioranza meticcia.
Il 31
dicembre 1991, per iniziativa dellÂ’Onu, a CittÃ
del Messico vengono firmati gli accordi di pace
tra la guerriglia e lÂ’esercito. Dopo dodici anni
termina la guerra civile che ha provocato 7 mila
desaparecidos, un milione di profughi e 76 mila
morti, tra i quali centinaia di donne e uomini di
Chiesa, come padre EllacurÃa (nella foto, mentre
celebra messa), ucciso dai militari nel
1989. Il terremoto che ha colpito il Salvador
il 13 gennaio ha provocato 701 morti, 3.883 feriti
e 54 mila
senzatetto. | | |
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