Cosa significa Banche armate?

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In alcuni casi le banche appoggiano il commercio d’armi attraverso veri e propri finanziamenti. È superfluo allora ricordare che i soldi con cui le banche finanziano l’esportazione di armi sono i nostri. Le industrie belliche, come ogni tipo di industria, hanno bisogno di capitale per produrre. E da dove viene buona parte del capitale che finanzia tali industrie? Dalle "banche armate". Se queste ultime non finanziassero più le industrie belliche, esse sarebbero spinte alla riconversione. E perché una banca dovrebbe decidere di smettere di finanziare la produzione di armi? Ciò può avvenire se tutti i risparmiatori cominciano a chiedere alle loro banche una precisa garanzia: che i propri risparmi non vengano investiti in operazioni che non condividono. Nella civiltà dell’immagine, in cui viviamo oggi, le banche non si possono permettere di perdere simpatie all’interno della clientela.

In altri casi le banche concedono alle fabbriche di armi un normale- ma determinante- servizio (spesso riguarda operazioni di bonifico bancario). Senza tale appoggio "da mediatore", che fa la banca, non ci sarebbe nemmeno l'esportazione! Anche in questa circostanza i singoli clienti possono, alla luce dei dati ufficiali del Governo, optare per altri istituti bancari.

In definitiva tutti noi, risparmiatori e consumatori, secondo le regole di mercato, possiamo preferire una banca più sensibile all’affermarsi della giustizia ad una che si disinteressa di problemi di primaria importanza (come quello delle armi). Così il nostro scopo deve essere quello di migliorare le nostre banche (senza per questo volerle demonizzare).

Ecco perché l'obbiettivo principale e imprescindibile della suddetta campagna è sensibilizzare i cittadini, le associazioni, le parrocchie e i circoli sulla rilevanza della loro domanda in ambito bancario. Noi cittadini (e associazioni), soggetti economici oltre che politici, siamo chiamati a condizionare le politiche delle banche, non a subirle.  (dalla presentazione del coordinamento fiorentino della "campagna banche armate")

 

 

In questo articolo si possono trovare documentati  alcuni dei fatti che hanno fatto sentire la necessità di lanciare questa campagna:

 

Lunga lista e vergognosa

Export di armi e banche/Relazione governativa 2000
di Francesco Terreri  (© NIGRIZIA N. 6 Giugno 2000)

 

Ecco gli istituti di credito che continuano a fare affari con gli armamenti senza preoccuparsi né di etica né di geopolitica. E che continuano ad arrabbiarsi se glielo facciamo notare.

È la cifra più alta dell’ultimo decennio: il valore delle operazioni bancarie relative alle esportazioni italiane di armi del 1999 ammonta a 2.335 miliardi di lire, un dato sostanzialmente corrispondente all’export che il governo ha autorizzato l’anno scorso, pari a 2.596 miliardi. Insomma anche negli incassi e nella copertura finanziaria si consolida la ripresa dell’industria bellica italiana sul mercato internazionale, soprattutto verso il Sud del mondo - il 65% delle vendite nel ’99, senza contare la Turchia. Sono i dati cruciali della Relazione governativa 2000 sull’export ’99, prevista dalla legge 185/90  e presentata a fine marzo in Parlamento.

Tra gli affari, spicca il megacontratto da 1.200 miliardi di lire degli Emirati Arabi Uniti per apparati elettronici per l’aeronautica. Titolare dell’autorizzazione è l’Elettronica spa di Roma, che si appoggia per gli aspetti finanziari su Unicredito Italiano. Ma l’operazione è molto più vasta e complessa. Secondo la ricostruzione di Os.C.Ar., l’Osservatorio sul commercio delle armi dell’Ires di Firenze, la commessa fa parte di forniture negli Emirati Arabi per 30 miliardi di franchi (9.000 miliardi di lire) ottenute tra il ’98 e il ’99 dall’industria degli armamenti francese: 33 nuovi cacciabombardieri Mirage 2000-9 e l’aggiornamento di un’altra trentina di Mirage 2000, già in possesso dell’aviazione degli Emirati, nonché un’adeguata dotazione di missili aria-aria e aria-superficie, e di apparati elettronici.

A questi colossali affari partecipa il grosso dell’industria bellica d’oltralpe, tra cui il gruppo Thomson-Csf (57% del fatturato per la difesa, 70% esportato), leader di mercato nell’elettronica militare, controllato dallo Stato francese, dall’Alcatel (elettronica e spazio) - che significa anche Société Genérale, settima banca al mondo per attivo - e dalla Dassault Industries, la costruttrice dei Mirage. Thomson-Csf partecipa per il 33% del capitale a Elettronica spa, l’impresa romana dell’imprenditore Fratalocchi che vede tra gli azionisti anche Finmeccanica, la holding italiana della difesa. La megacommessa degli Emirati è una joint-venture Elettronica-Thomson, e la stessa Relazione del governo precisa che, su 1.200 miliardi, il materiale di produzione francese vale ben 700 miliardi. Ma non finisce qui.

Ancora una volta le imprese italiane si infilano in giochi più grandi di loro. Infatti negli Emirati i Mirage francesi, con apparati italiani, sono in competizione con gli F-16 statunitensi. Dopo un lungo tira e molla, gli emiri di Dubai e Abu Dhabi hanno recentemente ceduto alle pressioni Usa e hanno comprato ottanta F-16 della Lockeed-Martin, con radar Northrop e missili Raytheon, per un valore di 7 miliardi di dollari. Insomma sulle rive del Golfo Arabo-Persico gira un quinto del mercato globale delle armi e si confrontano i maggiori competitori mondiali. Ma negli Stati Uniti c’è polemica: il contratto con gli Emirati potrebbe essere un mezzo di scambio per ottenere basi militari e inoltre la tecnologia ceduta sarebbe tra le più avanzate, e questo preoccupa alcuni ambienti Usa attenti alla proliferazione delle armi sofisticate. Nell’area crescono le tensioni: si sta facendo pericoloso ad esempio il confronto tra Emirati e Iran.

In Italia invece nessuno ha espresso preoccupazioni. Meno che mai Unicredito, uno dei maggiori gruppi bancari nazionali, che grazie alla commessa araba si assicura il primo posto tra le banche che hanno appoggiato l’export di armi nel ’99. Oltretutto la commessa ha prodotto "importi accessori", tra cui la lauta tangente legale pagata ai mediatori dell’affare, per oltre 180 miliardi di lire. Non sembra preoccupare i principali azionisti del gruppo - le fondazioni Cariverona, Crt, Cassamarca e i tedeschi di Allianz - neanche il fatto che altre operazioni di Unicredito riguardino esportazioni italiane di armi in India, Marocco, Perù.

Nella lista del sostegno all’export troviamo poi, al solito, la Banca Commerciale (ora in Banca Intesa), il San Paolo-Imi e la Banca di Roma. Comit risulta aver appoggiato soprattutto operazioni con la Francia, ma anche con Turchia, Singapore, Sudafrica. Gli altri istituti che fanno capo a Banca Intesa, Cariplo e Banco Ambrosiano Veneto, questa volta sono più defilati. L’Ambroveneto, in particolare, continua ad incassare per conto dell’Agusta piccole rate di pagamento per parti di elicotteri dalla Turchia e dal Perù. Attraverso il San Paolo-Imi passano i pagamenti del Brasile per la fornitura di 50 missili superficie-aria Aspide (Alenia-Finmeccanica): una commessa da 70 miliardi di cui gli acquirenti hanno pagato una prima rata, e sulla quale viene versata una prima parte del compenso di mediazione vicino al 10%del valore della fornitura. Un ulteriore consistente alimento al debito brasiliano verso il gruppo bancario torinese, che già superava, secondo gli stessi bilanci del San Paolo, i 140 miliardi di lire a fine ’98. La Banca di Roma sostiene la Sepa spa nelle operazioni per una fornitura da 30 miliardi di "sistemi di automazione della propulsione " navale al Venezuela. Notare che il compenso di mediazione autorizzato dal governo è pari a 1 milione 778 mila dollari su 17 milioni 788 mila dollari di commessa: il 10% esatto.

La Banca Nazionale del Lavoro si segnala invece per fare d’appoggio alle esportazioni nel Sultanato del Brunei. Ma anche in Algeria: in barba alle dichiarazioni del governo, secondo il quale nel ’99 sarebbero stati rispettati vincoli e divieti della legge 185 - oggi peraltro messa in discussione dallo stesso esecutivo - l’Algeria è stata una destinazione di armi italiane, e la Bnl ha sostenuto la vendita di 5.000 pistole mitragliatrici Beretta, del valore complessivo di 2 miliardi 875 milioni di lire. L’altra grande commessa algerina è quella dei velivoli "senza pilota" Mirach della Meteor (si usano come bersagli da esercitazione): 31 miliardi intermediati dalla Arab Banking Corporation,un gruppo bancario multinazionale con sede centrale in Bahrein e come soci principali la società di investimenti dell’Emiro di Abu Dhabi (ancora gli Emirati!), il Ministero delle finanze del Kuwait e la Banca Centrale della Libia, e il resto del capitale piazzato sui mercati (occidentali).

Non è l’unica banca estera a partecipare al nostro export di armi. La francese Banque Nationale de Paris appoggia le vendite italiane in Bulgaria. La britannica Barclays Bank, colta a dicembre con le mani nella marmellata per essere stata in Gran Bretagna la banca d’appoggio di un trafficante di armi con il Congo, si limita nel ’99 ad operazioni con il Canada. Cresce invece di importanza, tra le italiane, la Banca Popolare di Brescia, per la quale passano le esportazioni in Malaysia di caccia Mb-339 dell’Aermacchi. Tra le cifre minori, la Banca Popolare di Intra (Verbania) risulta essere la banca d’appoggio dell’Aerea spa per esportazioni di parti di elicotteri, di origine statunitense, in Slovenia e addirittura in Guinea Conakry. Invece non sappiamo per dove sia passato il pagamento della rata degli aerei militari venduti dall’Aermacchi all’Eritrea: 3 miliardi 758 milioni di lire nel ’99. L’anno prima era il San Paolo, quest’anno il dato non è riportato nelle tabelle di dettaglio. Una svista provvidenziale, dopo l’embargo Onu alle vendite di armi a Eritrea ed Etiopia in guerra.

 

 

LA LEGGE 185/90 SUL COMMERCIO DEGLI ARMAMENTI

 

La legge 185 del 1990, attualmente in fase di revisione e riscrittura, stabilisce (Art.1, comma 6) che l’esportazione ed il transito di armamento sono vietati:
a. verso paesi in stato di conflitto armato, in contrasto con i principi dell’articolo 51 della carta delle Nazioni Unite, fatto salvo il rispetto degli obblighi internazionali dell’Italia, le diverse deliberazioni del Consiglio dei Ministri, da adottare previo parere delle Camere;
b. verso paesi la cui politica contrasti con i principi dell’art. 11 della Costituzione;
c. verso paesi nei cui confronti sia stato dichiarato l’embargo totale o parziale delle forniture belliche da parte delle Nazioni Unite;
d. verso paesi i cui governi sono responsabili di accettare violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti dell’uomo [...]

©Amnesty International
"Il 29 dicembre 1999 il Governo italiano, con l’alibi dell’ "europeizzazione" del mercato e delle regole, ha presentato un Disegno di legge favorevole alle esigenze ed alle posizioni dell’industria militare ed ai "venti" di revisione che hanno ispirato alcune proposte di modifica avanzate negli ultimi anni.
"In particolare, si vogliono sottrarre dall’applicazione della 185/90 le coproduzioni industriali di materiali di armamento con Paesi membri dell’UE, dell’Unione dell’Europa occidentale e della NATO, che verrebbero regolati esclusivamente da specifici accordi intergovernativi. I vari pezzi e componenti d’arma fabbricati in Italia sarebbero quindi esportati sotto la responsabilità dei partners che li hanno assemblati, in assenza di una regolamentazione internazionale adeguata e con il solo ausilio di un Codice di Condotta Europeo non vincolante, lacunoso in molti aspetti e più debole rispetto alla disciplina della 185.
"Stando così le cose vi è il grave rischio di consegnare armi e soprattutto tecnologia a paesi instabili che non danno alcuna garanzia sul rispetto dei diritti umani o che potrebbero riesportarle a terzi destinatari verso cui, dall’Italia, non sarebbe possibile il trasferimento".

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·        dati aggiornati sulle banche armate

·        primi risultati: Aprile 2001- il caso Unicredito

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