"Di tanto in tanto
sono passati tra noi
Donne e Uomini
che ci sembravano
quasi stranieri
per quanto erano diversi
nel linguaggio e nelle
opere
dalla nostra tribù.
Essi prefiguravano il
futuro
che è già dentro di
noi,
almeno in parte,
ma che è reso invisibile
dall'involucro dell'uomo
vecchio."
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GIUSEPPE
DOSSETTI
(1913 – 1996)
Politico,
padre fondatore della Costituzione italiana, riformatore e monaco
Giuseppe
Dossetti nasce a Genova il 13 febbraio 1913. Dopo la laurea in
giurisprudenza, inizia ad insegnare Diritto Ecclesiastico alla
Cattolica di Milano e ad impegnarsi nella vita politica. Nel 1945
diventa vice segretario nazionale della Democrazia Cristiana e
l’anno seguente è eletto all’Assemblea Costituente con
l’incarico di elaborare il testo della Costituzione e di
occuparsi, in particolare, dei “diritti e doveri dei cittadini”.
Sono anni d’intensa lotta politica in cui Dossetti cerca di
proporre una democrazia “sostanziale”. Egli critica la classe
dirigente democristiana nel modo di concepire il partito politico:
per lui, infatti, questo non doveva essere solamente un comitato
elettorale a servizio del mondo cattolico e del governo, bensì un
veicolo per diffondere una cultura politica non sottomessa a quella
liberale. Inizia così ad acuirsi il suo contrasto con De Gasperi;
resosi conto che non poteva combattere una battaglia culturale
all’interno di un partito politico e vista l’impraticabilità
della sua proposta politica, nel 1952 lascia la politica attiva.
Costituisce a Bologna un Centro di Documentazione, l’attuale
Istituto per le Scienze Religiose, nell’intento di favorire il
rinnovamento della Chiesa attraverso lo studio nel campo delle
scienze religiose. Nel 1954 accetta la candidatura a sindaco di
Bologna e rimane nel consiglio comunale cittadino fino al 1958.
Intraprende
una nuova strada che lo porta a pronunciare i voti religiosi nel
1956; tre anni dopo riceve l’ordinazione sacerdotale dal cardinale
Lercaro, vescovo di Bologna, e
sceglie di vivere nella povertà e nella semplicità. Fonda una
comunità monastica, La Piccola Famiglia dell’Annunziata, a
Monteveglio, alle pendici dei colli bolognesi, teatro di un efferato
eccidio nazista in cui vennero crudelmente trucidate più di mille
persone.
Partecipa
al Concilio Ecumenico Vaticano II come perito del suo vescovo.
Dal
1968 si ritira a vita monastica, dedicandosi alla guida delle sue
comunità, nelle diverse sedi in Italia, Palestina e Giordania.
Nel
1994, dopo la vittoria elettorale del centro-destra, esce dal suo
ritiro monastico per denunciare il pericolo di una modifica in senso
presidenzialista della Costituzione italiana e il pericolo di
un’evoluzione a destra nella vita politica nazionale. Nei suoi
ultimi anni di vita, la sua voce si fa sentire più volte in difesa
della Costituzione.
Muore
il 15 dicembre 1996 in seguito a malattia e viene sepolto, per sua
espressa volontà, nel cimitero che accoglie le vittime del
nazifascismo nei pressi della comunità di Monteveglio.
Il
suo messaggio rimane legato alla passione per il diritto, inteso
come strumento di pace e giustizia. In particolare:
Il
suo messaggio rimane legato alla passione per il diritto, inteso
come strumento di pace e giustizia. In particolare:
-
La Costituzione come “grande patto per
l’avvenire” sostenuto da persone che credono in valori morali e
che s’impegnano nella creazione di una classe dirigente competente
attraverso lo strumento del “partito politico”.
-
Impegno politico inteso come un’opera di educazione
e di formazione politica per la coscienza del popolo. Dossetti ha
sempre insistito sulla gratuità: non ha mai voluto fare della
politica la sua professione; per questo quando ha capito come
andavano veramente le cose se n’è andato con semplicità.
L’ostacolo più grande fu una certa cattolicità, contro cui
bisognava, per Dossetti, operare più profondamente, in una cultura
del tutto nuova e in una vita cristiana coerente.
-
Solo la riforma della Chiesa avrebbe consentito una
diversa qualità della politica da parte dei cattolici. Per questo
motivo Dossetti istituì l’Istituto per le Scienze Religiose, per
costituire un centro scientifico di ricerca e documentazione in
spirito di forte rinnovamento.
-
Scelta di vivere nella povertà per essere dalla parte
della società dimenticata.
Confrontati
con i giovani che hanno incontrato Dosseti nel
Campo itinerante da Barbiana a Montesole, estate 2006! | |
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ERNESTO
BALDUCCI (1922 – 1992)
Sacerdote,
insegnante, scrittore, promotore di molte iniziative di pace e
solidarietà
Nasce
il 6 agosto 1922 in un piccolo paese di minatori sul monte Amiata,
Santa Fiora, in provincia di Grosseto, luogo
fondamentale della sua formazione umana e religiosa. Primo di
quattro figli, frequenta il seminario minore presso i padri
Scolopi e si distingue per un profondo impegno nello studio. Riceve
l’ordinazione sacerdotale nel 1945 ed è destinato a Firenze, dove
si iscrive alla facoltà di Lettere e Filosofia e si laurea nel 1950
con una tesi su Antonio Fogazzaro. Collabora con Giorgio La Pira nei
gruppi giovanili della S.Vincenzo, facendo esperienza diretta con i
più poveri. E’ grazie a La Pira che Balducci si interessa alle
tematiche sociali e politico-culturali. Nel 1952 fonda il
“Cenacolo”, esperienza nuova che cerca di superare la semplice
assistenza e che si basa sulla formazione religiosa, teologica e
spirituale, con una particolare attenzione ai problemi
politico-sociali. Balducci fa emergere la sua capacità educativa e
di formazione dei giovani. Nel 1958 fonda la rivista
“Testimonianze”, allo scopo di promuovere una fede che si
fondasse sul valore della testimonianza, ispirandosi alla
spiritualità dei Piccoli Fratelli di Charles de Foucauld. Balducci
esprime l’esigenza di apertura sociale e di dialogo nel mondo
cattolico, soprattutto giovanile. La censura romana del Santo
Uffizio colpisce le iniziative di La Pira, considerate troppo
innovatrici, e allontana i suoi collaboratori: Balducci è mandato
prima a Frascati, poi a Roma e per “ironia della Provvidenza” ciò gli permette di seguire da
vicino i lavori del Concilio. In questi anni è bersaglio di molte
polemiche a causa delle sue prese di posizione: subisce, ad esempio,
un processo per la difesa dell’obiezione di coscienza e viene
isolato anche dal mondo cattolico.
Nel 1965 ritorna alla Badia Fiesolana, diocesi di Fiesole,
profondamente deluso per un mancato rinnovamento della Chiesa e non
interviene più sui temi della riforma ecclesiale. Dalla metà degli
anni ’70, promuove numerose iniziative culturali (tra cui la
famosa “Se vuoi la pace, prepara la pace”), scrive libri, saggi,
articoli, e partecipa ad incontri in tutta Italia. Nel 1986 fonda la
casa editrice “Edizioni Cultura della Pace”, pubblicando lui
stesso le biografie di Francesco d’Assisi, Gandhi e La Pira. Muore
il 25 aprile 1992 a causa di un incidente stradale, avvenuto al
ritorno da alcuni impegni pubblici.
Il
suo messaggio è legato essenzialmente a:
-
Cultura della pace e della nonviolenza: ogni relazione
(uomo-donna, con gli altri esseri viventi, con tutto il mondo) non
deve essere regolata dalla forza, bensì da una razionalità che
ricerca il bene comune, il dialogo, la condivisione. Maestri di pace
a cui Balducci si è sempre ispirato sono Francesco d’Assisi,
Gandhi, Papa Giovanni XXIII e Giorgio La Pira.
“
La cultura che ancora domina è quella funzionale alla guerra, mentre è
già maturo il tempo di una cultura diversa: la cultura della pace.
Il primo impedimento alla nascita ed alla diffusione di questa nuova
cultura è la rassegnazione al vecchio modo di pensare…”.
-
Crisi della modernità: dipende dalla volontà di
potenza e dominio a scapito di un’umanità povera ed oppressa.
Anche il consumo delle risorse non rinnovabili produce, secondo
Balducci, sottosviluppo, guerra, fame e morte.
-
“L’uomo planetario” è colui che va incontro
alle diversità e realizza, così, un’evoluzione nell’integrità
umana e nella pace.
“…
apertura dell’uomo all’uomo come condizione del proprio essere,
della collaborazione come condizione del proprio sviluppo, della
solidarietà dell’intera specie come condizione del suo essere
persona”.
“Non
dimentichiamo mai che il vero cantiere della pace e della guerra
siamo noi nel piccolo ambito dei nostri rapporti quotidiani. Noi,
come membri della specie umana, non siamo in condizione di
continuare il nostro percorso storico se non confrontandoci con la
presenza dell’Altro come tale”.
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DANILO
DOLCI (1926 – 1997)
Costruttore
di pace e nonviolenza
“Non
è il piacere o il dolore che ti detta quello che devi fare, devi
vedere quanto è necessario nella società, e poi non importa se tu
lasci la vita”.
Nasce
a Sesana (Ts) il 28 giugno 1926 e cresce in Lombardia. Conclusi gli
studi artistici, si iscrive alla facoltà di Architettura a Milano.
Nel dopoguerra, entra a far parte della comunità cristiana di
accoglienza di Nomadelfia, sorta nel 1946 in Emilia in un ex campo
di concentramento, allo scopo di assistere
gli orfani della guerra. Nel 1952 si trasferisce a Trappeto,
piccolo paese in provincia di Palermo, definito da Dolci “il paese
più misero che ho mai visto”. Qui dà l’avvio alla sua attività
a fianco dei più poveri, attraverso diverse iniziative di lotta
nonviolenta con i contadini e i pescatori. L’obiettivo è di
ottenere acqua, fognature, strade, lavoro e scolarizzazione. Il 14
ottobre ’52 inizia il suo primo digiuno di otto giorni in seguito
alla morte di un bambino per fame e per freddo. Seguono: digiuni per
la costruzione della diga sullo Jato (sarebbe stata costruita sette
anni dopo) e per la lotta contro la pesca fuorilegge; lo sciopero
“alla rovescia” di Partinico per la riattivazione di una strada
intransitabile; le iniziative di riscatto sociale dei disoccupati e
dei contadini; la marcia per la pace nel Vietnam; le manifestazioni
per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza; le denunce
documentate contro la mafia e i legami col mondo politico locale. In
più di quarant’anni di attività, Danilo Dolci subisce minacce,
denunce, arresti e condanne. E’ inoltre sottoposto al controllo
delle forze dell’ordine che lo spiano e redigono rapporti
informativi sul suo conto. Allo stesso tempo però riceve importanti
riconoscimenti in Italia e all’estero, tra cui diversi premi per
l’attività svolta nel settore della pace e della nonviolenza,
molte candidature al Premio Nobel per la pace, la laurea honoris
causa in Pedagogia.
Ha
sempre vissuto e lavorato fra Trappeto e Partinico, svolgendo la sua
opera di promozione civile, culturale e educativa. Negli ultimi anni
della sua vita ha promosso numerose iniziative di educazione alla
pace e alla nonviolenza. Ha fondato il Centro studi e iniziative
allo scopo di esplorare i nessi tra educazione, creatività e
sviluppo nonviolento. Ha anche svolto, nelle scuole di tutta Italia
e del mondo, seminari con bambini, genitori ed insegnanti
perfezionando, così, il suo famoso “metodo maieutico”.
Ha
pubblicato moltissimi libri (saggi, raccolte di poesie ed inchieste)
che sono stati tradotti in numerose lingue.
E’
morto il 30 dicembre 1997.
“Per riuscire a costruire un nuovo mondo di pace, occorre il
coraggio, lo slancio di mettersi col nuovo, per scomodo e pericoloso
che possa essere, o sembrare, il buttarsi in imprese più grandi di
noi”. Il
“mondo nuovo” di Danilo si è realizzato nelle battaglie
nonviolente contro mafia e disoccupazione, a favore dei diritti, del
lavoro e della dignità.
Obiezione
di coscienza: importante ma non sufficiente. Danilo preferisce
parlare di obiezione/azione di coscienza perché ciò che è
importante è produrre alternative. “Conta quanto e cosa si fa per il cambiamento”.
La
Nonviolenza è necessaria quando ci sono dei conflitti: bisogna porsi
dal punto di vista dell’esperienza dell’altro e riuscire a
collaborare.
Metodo
maieutico: processo di crescita grazie al
quale l’individuo apprende tramite l’incontro con l’altro.
“E’
aiutare a riconoscere, in sé e negli altri, interessi, bisogni,
identità, certe volte comuni, certe altre diversi. La crescita è
sempre il prodotto di un complesso di condizioni maieutiche
attuate”.
“Il
vero educatore educa tutti a comunicare e di conseguenza ad essere
creativi. Il rispetto dei tempi di maturazione, concetto insito
nella nonviolenza, è un concetto di rispetto per la vita”.
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GIORGIO
LA PIRA (1904 – 1977)
Politica
ed opzione per i poveri
Nasce
nel 1904 a Pozzallo, Ragusa. Si trasferisce a Messina per studiare;
diplomatosi ragioniere si iscrive alla facoltà di giurisprudenza.
La Pasqua del 1924 è il tempo della sua conversione; alla fine del
’25 frequenta già le baracche della città, visitando le famiglie
povere, portando cibo, medicine, vestiti, intrattenendo i giovani
per la strada.
La
Pira giunge a Firenze nel 1926 al seguito del professore scelto per
la tesi ma la polis
(città) assume presto il valore di una vera e propria vocazione.
All’approfondimento degli studi di diritto, unisce lo studio si
S.Tommaso; dall’impegno spirituale non distacca mai un’intensa
attività sociale. Scende nei bassifondi, visita il dormitorio
pubblico, dà vita a quell’originale esperienza della messa di
S.Procolo, dove ricchi e poveri si riunivano in una sola famiglia,
come i primi cristiani. La continua ricerca della verità lo avrebbe
portato ad opporsi al fascismo. Il contrasto, già maturato negli
anni, esplose con la pubblicazione della rivista Principi, in cui venivano affermati i diritti della persona umana
minacciati dal totalitarismo, dalle ideologie, dal razzismo, dalla
guerra. La rivista fu ovviamente soppressa e La Pira costretto alla
clandestinità.
Alla
caduta del regime è eletto all’Assemblea Costituente ed è uno
dei maggiori ispiratori dei Principi
Fondamentali della Costituzione italiana. Fu politico, nel
senso più alto del termine, vivendo con responsabilità e senza
alcun interesse personale la propria candidatura.
Nel
1951 è sindaco di Firenze: affronta subito il problema dei senzacasa
con requisizioni di appartamenti ed edilizia popolare, distribuisce
il latte ai bambini delle elementari, si impegna senza tregua per il
diritto al lavoro, riceve chiunque desideri parlargli. Ma il suo
ruolo non si ferma ai confini del Comune: La Pira si interroga sulla
situazione dell’Italia e del Mediterraneo, del mondo intero.
Capisce che in un mondo dominato dalla paura dell’atomica e dalla
logica dei blocchi che restringe gli spazi della diplomazia, un
ruolo nuovo devono giocarlo le città: assistito dalla preghiera di
tanti monasteri di clausura e in contatto con i bambini di molte
scuole elementari, intraprende una feconda attività internazionale.
Organizza annualmente i convegni per la Pace e la Civiltà
cristiana, promuove il Convegno dei sindaci delle città capitali
del mondo, parla alla Croce Rossa a Ginevra. La presenza ai convegni
dei rappresentanti dei paesi arabi ne fa un punto di incontro di
culture diverse, in cui il Mediterraneo diviene fulcro del nuovo
sistema di rapporti tra Nord e Sud del mondo. Organizza diverse
sessioni della conferenza Est-Ovest per il disarmo. Avrà stretti
rapporti diretti o epistolari con i principali leader dei governi
mondiali.
Negli
anni ’70 la sua attività internazionale va diradandosi per motivi
di salute. Muore il 5 novembre 1977. Sulla sua tomba, a Firenze, è
scritta la parola “Pace” in arabo ed in ebraico.
“Abbiamo
una missione trasformante da compiere: dobbiamo mutare
-quanto è possibile- le strutture di questo mondo per renderle al
massimo adeguate alla vocazione di Dio. … il nostro stato di vita
ci fa non solo spettatori, ma necessariamente attori dei più vasti
drammi umani. … Il pieno adempimento del nostro dovere avviene
solo quando noi avremo collaborato, direttamente o indirettamente, a
dare alla società una struttura giuridica, economica e politica
adeguata al comandamento principale della carità”.
“Ho
un solo alleato: la Giustizia fraterna quale il Vangelo la
presenta: ciò significa: lavoro per chi ne manca, casa per chi ne
è privo, assistenza per chi ne necessita, libertà spirituale e
politica per tutti…”.
Politica
intesa come azione per il bene comune e servizio verso il
prossimo. “La sola
metodologia di vittoria è la rinuncia a se stessi, il distacco
radicale dalla propria piccola sfera, l’apertura (come conseguenza
di questo distacco e di questo taglio) alla sfera mondiale di Dio:
gli strumenti che suggerisce l’ambizione, la colpa, la meschinità,
sono strumenti radicalmente privi di efficacia politica”.
“La
Pace deve essere costruita a ogni livello della realtà
umana: livello economico, sociale, politico, culturale e religioso”.
“…
una nuova metodologia
capace di edificare nell’unità e nella pace
una società nuova e proporzionata a quest’epoca: la metodologia
del Vangelo, che impone a tutti gli uomini di amarsi
e di integrarsi reciprocamente come membri solidali di un
unico corpo”.
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Fr.
ALFREDO FIORINI (1954 – 1992)
Fratello
Missionario Comboniano martire in Mozambico, medico e poeta
Nasce
il 5 settembre 1954 a Terracina. Sin da bambino si distingue per una
certa disponibilità verso gli altri, l’impegno nello studio e,
soprattutto, una grande umiltà. Nell’estate del 1972 partecipa ad
un campo di lavoro organizzato da Mani Tese a Firenze;
un’esperienza che influisce molto sul suo orientamento
vocazionale. Nell’autunno del 1973 si iscrive alla facoltà di
medicina dell’università di Siena, con il chiaro obiettivo di
diventare medico per i fratelli del Sud del mondo; conosce
P.Giuseppe Russo, missionario comboniano e la realtà del CUAMM
(centro universitario aspiranti medici missionari) di Padova. Dopo
la laurea, inizia a lavorare in una clinica di Terracina e nel 1981
comincia il servizio militare presso l’Accademia di Livorno;
riserva alcuni giorni di licenza per partecipare agli incontri del
GIM –Giovani Impegno Missionario- delle comunità comboniane di
Bari e Lecce. Decide di diventare sacerdote: nel 1982 entra nel
Postulato dei Missionari Comboniani di Firenze, nel 1984 entra nel
Noviziato di Venegono (Va) e nel 1986 si consacra a Dio con i voti
di Povertà, Castità e Obbedienza. Va in Inghilterra per
approfondire lo studio della lingua inglese, e poter così
completare gli studi teologici in Uganda e Kenya, ma, arrivato quasi
alla fine degli studi, decide di non diventare più Padre (cioè
sacerdote) bensì Fratello, per potersi dedicare totalmente alla
professione medica. Nell’estate del 1989 Alfredo torna in
Inghilterra, a Liverpool, dove nel gennaio 1990 ottiene il diploma
in medicina tropicale e igiene. Due mesi dopo conclude gli studi di
Teologia a Nairobi con una tesina su “Ripercussioni dell’Aids
sulla società africana” e viene destinato al Mozambico
ex-portoghese, dove giunge nel febbraio ’91, dopo alcuni mesi a
Kalongo (Uganda) e a Lisbona.
Alfredo
trova un paese devastato da undici anni di guerra civile, tra
Frelimo (Fronte di Liberazione del Mozambico) e Renamo (Resistenza
Nazionale Mozambicana); un paese segnato da continui assalti,
saccheggi, uccisioni, violenze e vendette. La gente fugge da un
posto all’altro per salvarsi e “sembra accettare tutto con
grande rassegnazione, le dislocazioni forzate e i campi di
concentramento, e tutti i soprusi di chi ha il potere”.
Trascorre alcune settimane presso la missione di Anchilo per
conoscere le basi della lingua Makua, dopodiché inizia a lavorare
come medico-chirurgo all’ospedale di Namapa con l’incarico delle
emergenze chirurgiche (giorno e notte); inoltre l’ospedale è
semidistrutto e Alfredo si improvvisa muratore. Viene nominato
direttore clinico dell’ospedale, ma, di fatto, l’amministrazione
gli impedisce di svolgere il suo lavoro, sabotando il suo operato e
le sue decisioni; per questo e anche per la mancanza di mezzi
(elettricità, medicinali, tetto, porte, finestre, letti, materassi,
lenzuola, pronto soccorso, …) lascia provvisoriamente Namapa e va
all’ospedale di Alua, a venti km di distanza; continua, quindi, a
servire la stessa popolazione, ma in un altro contesto. E’
l’unico medico in duemila kmq di territorio, con il solo aiuto di
una suora, una levatrice e quattro portantini. Il suo lavoro non si
limita a curare i malati sempre più numerosi; cerca di
sensibilizzare sulla necessità della prevenzione e
dell’educazione sanitaria. Il 13 aprile 1992 rinnova la
Professione religiosa e poco dopo chiede al superiore generale di
consacrarsi definitivamente a Dio come Fratello, con i Voti
Perpetui. Nonostante la precarietà della situazione riesce sempre
ad essere ottimista e, soprattutto, a rimanere fedele al popolo
Makua. Dopo un breve periodo di riposo, parte per Carapira per far
revisionare la sua auto. Nel tragitto, la sua vettura è centrata da
alcune raffiche di mitra dei guerriglieri del Renamo. Alfredo muore:
è il 24 agosto 1992. Al momento della sua morte, nelle vicinanze,
cade un baobab: secondo la tradizione makua, un baobab cade quando
muore una persona particolarmente gradita a Dio.
Alfredo
è un uomo innamorato di Dio e della sua vocazione missionaria
e di medico: “La mia, come ogni vocazione, penso che prima di
tutto vada messa in questo contesto grande del mistero di Dio che ci
circonda e che vive nella sua Chiesa. Con timore e tremore vorrei
dire che questa vocazione missionaria non è tanto una dichiarazione
di amore appagato, stabile, definitivo. Io la vivo molto di più
come momento prolungato di innamoramento. Ritengo che il Signore usi
due grandi modi per chiamarci alla sua volontà, cioè attraverso
esperienze di grande gioia o esperienze di grande dolore. La grande
gioia e il grande dolore si ritrovano uniti in maniera quasi
paradossale nel momento in cui si è innamorati, quando si vive una
situazione di pienezza e nello stesso tempo aspettando e desiderando
il volto della persona amata”.
“Salute:
“...non è solo assenza di malattia ma affermazione di tutto ciò
che è umano, con atteggiamenti positivi verso tutte le realtà
della vita e della società, includendo il lavoro, la convivenza, la
qualità della vita”.
“Alfredo
ci parla di vita, fede e speranza e si propone come colui che vuole
ereditare dal Cristo la pena per l’umanità: l’immagine
del cuore trafitto del Pastore, la presenza di questa ferita che non
rimargina mai completamente e che contagia chi a lei apre il cuore,
è una chiave di lettura della sua vita e anche della sua poesia”
(don Fabio Fiorini, fratello di Alfredo).
“…Ha
fattezze gloriose,
questa
ferita,
ci
viene da Gesù Nazareno,
ci
dona di non essere da meno,
fiorisce
dedizione,
vive
allo sguardo,
ha
nome COMPASSIONE…”.
(“Le
Trafitture del Cuore”)
Chi
è il “Fratello Missionario Comboniano”:
il
testo delle costituzioni dell’Istituto dice: “I Fratelli
realizzano la loro consacrazione missionaria a Dio, partecipando
attivamente alla edificazione e crescita della comunità umana e
cristiana, attraverso l’esercizio del lavoro professionale, la
collaborazione al lavoro pastorale secondo i bisogni concreti delle
singole comunità e la testimonianza evangelica della vita. In tal
modo essi offrono un apporto particolare a quella promozione umana
che è parte integrante dell’evangelizzazione”.
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DAVID
MARIA TUROLDO (1916 – 1992)
Sacerdote,
frate dei Servi di Maria, poeta
Giuseppe
Turoldo nasce a Coderno di Sedegliano il 22 novembre 1916. Dopo
alcuni anni di formazione presso l’ordine mendicante religioso dei
Servi di Maria (che lui definiva “mendicanti d’amore”), emette
la sua prima professione religiosa nel ’35 assumendo il nome di
fra David Maria. Nel ’40 viene ordinato sacerdote e per quindici
anni tiene la predicazione domenicale nel duomo di Milano. Fin
dall’inizio del suo sacerdozio si impegna in ambiti diversi:
predicazione, scritture, resistenza, assistenza ai poveri e
Nomadelfia (“piccola città” con l’unica legge della fraternità).Fonda
il centro culturale “Corsia dei Servi”e alterna l’attività
culturale alla testimonianza civile e politica, all’attività di
predicatore e soprattutto di poeta. Nel ’46 si laurea in filosofia
con una tesi dal titolo “Per una ontologia dell’uomo”. Durante
la Resistenza fonda una rivista antifascista clandestina,
“L’Uomo”, dove pubblica le sue prime poesie; scrive anche
testi in prosa di contenuto biblico-letterario, testi teatrali;
traduce inoltre tutti i salmi della Bibbia e compone nuovi inni e
cantici a commento della liturgia domenicale e festiva. Per i suoi
scritti anticonformisti, viene chiamato “coscienza inquieta della
Chiesa”. Viene allontanato da Pio XII da Milano per la severità
con cui interpreta il Vangelo di fronte alla borghesia milanese e
viene inviato all’estero. A metà degli anni ’60 si trasferisce
nella comunità dei Servi di Maria a Fontanella, vicino a Sotto il
Monte, paese natale di papa Giovanni XXIII. Turoldo ha
stima e fiducia per il cammino dell’uomo promosso dal Papa
buono e dal Concilio Vaticano II e s’impegna per una
“ricomposizione” indicata
dal vangelo. Da Fontanella continua a condurre le sue
battaglie e dirige il Centro di Studi Ecumenici Giovanni XXIII.
L’obbedienza al servizio all’uomo e alla solidarietà si
realizza nella sua attività di prosatore prolifico
e pungente e di notista con delle rubriche fisse su giornali
e riviste. Denuncia tutti i soprusi, soprattutto istituzionali ed
economici, e si fa voce degli
oppressi, anche di quelli più lontani, per la libertà e la
giustizia. Crede, infatti, che l’unica scelta di salvezza sia la
spartizione dei beni (incontro con Ernesto Cardenal, valorizzazione
di Rigoberta Menchù, canto per Oscar Romero).
Nel
suo testamento spirituale, scritto nel 1986, padre David ringrazia i
suoi “tre amori” con l’aiuto dei quali ha saputo superare ogni
difficoltà: gli amici laici, i confratelli e i poveri (che lui
chiamava “mie radici e mio sangue” e “la mia gente”). La
produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, in cui “sperare
è più difficile che credere”, si caratterizza per la trattazione
delle tematiche legate al mistero dell’essere, alla vita e alla
morte con una schiettezza
radicale. Dopo una lunga malattia che lo segna fisicamente e
moralmente, ma che non gli fa mai abbandonare la speranza, padre
David muore nel 1992.
Il
suo messaggio:
Rinnovamento
del cristianesimo: occorre impegnarsi per rivivere l’evento
cristiano nell’umiltà, nella riscoperta personale e nel silenzio
interiore, e resistere inoltre al conformismo imposto. Ciò è
necessario per offrire nuovi modelli di vita ed essere capaci di
critica e opposizione ai miti e agli interessi mondani dominanti.
Povertà:
“presenza profetica della storia”, fonte di ricchezza
interiore, fondata sulla libertà
da se stessi, di attenzione all’essenziale, capace quindi di
cogliere una priorità di valori. E’ in nome della povertà intesa
come libertà che gli uomini rinunciano a possedere e diventano
capaci di convivenza fraterna.
Incarnazione:
passione per l’uomo che si
manifesta nella necessità
della “relazione” per poter incontrare l’altro, il suo
quotidiano, la sua storia. In forza di essa deve essere possibile il
superamento di ogni divisione e differenza.
La
poesia è fede e la fede è poesia, questo è il concetto su
cui fonda la sua produzione poetica; una produzione che non cambia
nella sostanza (la poesia come modo di vivere la propria fede) ma
solo nella forma, che nel tempo diventa sempre più essenziale con
l’uso di parole nude e crude. Turoldo è il poeta di quella
certezza che viene subito dopo il dubbio e che deriva
da un amore assoluto per gli uomini, Dio e la natura. E’ il
poeta della gioiosa fatica della speranza (“vorrei tramandare
questo scandalo della speranza”, parole che padre David
pronuncia quando è già gravemente malato).
“La
realizzazione della propria umanità: questo è il solo scopo
della vita che siamo chiamati ad essere, questa umanità di Dio,
che è, appunto, il sogno di Dio. Ecco. Magari fosse possibile dire:
sono arrivato! Ma non sono arrivato mai. E il progresso, il
benessere, l’”essere bene” non sta nei possedimenti o nei
libri o nelle cariche; sta in questa umanità realizzata giorno per
giorno. E anzi se un giorno va male non scoraggiarsi perché la
faremo andare bene oggi. Questa è la ragione della vita, tanto più
la ragione del credere e del pregare”.
Prega con una veglia ispirata a p. Turoldo
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